Mamma

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Il mio cuore non cessa di battere, la mia testa è un vortice di emozioni, per poco non perdo l'equilibrio quando si avvicina a me con cautela.

<<Sei cresciuta così tanto, bambina mia>> sussurra allungando una mano per tentare di accarezzarmi il viso.

Mi sposto prima che possa toccarmi, come se avessi paura di riprovare alcune sensazioni.
Proprio in questo momento ho davanti ciò che ho sempre desiderato e proprio ora desidero scappare via.

<<Come stai? Come sta papà?>> cerca di farmi parlare, ma la mia gola è serrata come se ci fosse un tappo a bloccarla.

<<Bene>> riesco a dire, in un sussurro appena udibile.

<<Sediamoci, parliamo con calma>> mi appoggia una mano sulla spalla per invitarmi a sedermi sulla sedia dietro di me.

A quel contatto la mia pelle si ricopre di brividi e mi sembra di essere tornata a tredici anni fa.

Annuisco e prendo posto mentre anche lei si posiziona davanti a me.

<<Sei diventata bellissima, ma lo eri già quando eri bambina>> mi sorride e mi sembra di avere un miraggio.

<<Io..io dovrei parlare con Jack, con qualcuno>> piano piano riesco a tranquillizzarmi e a formulare frasi di senso compiuto.

<<Jack?>> quasi scoppia a ridere e a me scappa un sorriso nell'udire la sua risata contagiosa.

<<Chiederò di permetterti di sentirlo>> mi sorride con premura avvicinando la sedia a me.

<<Mi dispiace che ti abbiano portato qui così>> ha le mani gelide e mi accarezza il viso accaldato.

<<C'è qualcosa che vuoi chiedermi?>> mi domanda forse non sapendo nemmeno lei bene cosa dire.

<<Tornerai mai a casa?>> domando di getto, pentendomi dopo di essere stata così avventata.

Improvvisamente la sua espressione si incupisce e il debole sorriso sul volto si spegne.

<<Non lo so>> si lascia andare contro lo schienale della sedia guardandomi con aria triste.

All'improvviso mi viene in mente la domanda più importante e mi chiedo come io abbia fatto a dimenticarmi.

<<Il padre di Jack? Come si chiamava..>> mi porto due dita alle tempie per massaggiarmi la testa e tentare di ricordarne il nome.

<<Richard>> mi precede lei, con un sorriso, forse nel vedere il mio tentativo di ricordare.

<<Si, lui>> rialzo gli occhi su di lei sperando di non leggerci brutte notizie.

<<Sta bene anche lui, come avrai capito non era in programma che venisse qui anche lui, ma poi le cose sono andate come... come dovevano andare>> conclude frettolosamente.

<<Perché lui non è tornato a casa da suo figlio? È consapevole di quanto l'ha fatto soffrire?>> per la prima volta alzo un po' di più la voce.

<<Non ne ho idea, io e lui non parliamo molto in realtà>> si rattrista abbassando lo sguardo sulle sue mani appoggiate alle ginocchia.

<<Perché sei stata obbligata a venire, mamma? Ci hai abbandonati, eravamo persi senza di te, lo siamo ancora>> ammetto e al pensiero di mio padre mi si crea un nodo alla gola.

<<Tutto ebbe inizio venticinque anni fa, ero giovane avevo appena diciotto anni, ed ero una ragazza piena di sogni e grandi aspettative. Avevo una grandissima passione: lo spionaggio. Non c'era cosa che mi eccitasse di più, che mi mandasse in fibrillazione.
Ma ovviamente i miei genitori non erano d'accordo sul fatto che io prendessi questa strada pericolosa e così pensai che senza il loro supporto non avrei potuto realizzare il mio grande sogno>> mi spiega.  Sentirla raccontare mi affiora ricordi del passato, quando mi leggeva e raccontava favole a letto per farmi addormentare.

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