Capitolo 3

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(Canzone consigliata: Here She Comes Again - Röyksopp feat. Jamie Irrepressible.)

Ethan.

Come ci si sentiva a guardare negli occhi una persona e provare pietà?

Come ci si sentiva ad avere una voce anche per urlare e non solo per parlare a voce bassa?

Queste, erano le due domande che mi ronzavano nelle orecchie mentre puntavo la canna della mia pistola in fronte a uno stronzo che si era permesso di fare del male a una donna sotto ai miei occhi.

È meglio che io non specifichi quali erano le altre domande che avevo nella testa.

«Ti ricordi almeno come si chiamava quella donna?» Sussurrai mentre mi abbassavo sulle ginocchia e aumentavo la pressione sulla sua fronte.

Il bastardo cominciò a supplicare, a dondolarsi sulla sedia per cercare di slegare i suoi polsi e le sue caviglie. Ovviamente, senza riuscirci.

Per non parlare di quando cominciò a urlarmi contro di avere pietà di lui.

Pietà.

A me.

Ridacchiai a quel pensiero mentre sussurrai: «Risposta sbagliata.» E gli conficcai una pallottola nel cranio.

Non starò qui a raccontarvi i dettagli della sua aggressione, né tantomeno della sua morte che non aveva alcun valore per me.

Però, fanculo, il completo italiano che indossavo si era appena sporcato della sostanza che donava vita a quella sottospecie di persona. E, lo ammetto, quello mi aveva reso un bel po' irritabile.

E non era mai un buon segno.

Soprattutto se la persona che cercava di parlarmi era Sean, che era appena entrato dalla porta blindata e continuava a blaterare sul fatto che avessi fatto un casino sul muro.

«Andiamo, amico!» Si mise le mani sulla testa. «Questa volta Lucy non credo che riuscirà a togliere i pezzi di cervello dal muro.»

Sean era sempre stato un po' un enigma per me. Era quella persona che non sapevi mai se fidarti o meno.

C'era anche da dire, però, che avendo in proprio un suo strip club conosceva benissimo le regole e la vita nascosta dietro lo sfarzo di Las Vegas.

E a volte sembrava anche minaccioso per le altre persone con la sua pelle color cioccolato e quei muscoli ben allenati sotto la giacca.

Non lo avrei definito un mio compagno o amico, io non ne avevo. Bensì, una risorsa che avrei potuto sfruttare quando volevo.

Anche solo per una chiacchierata.

«Pago la mia ditta di pulizie per un dannato motivo, Sean.» Dissi, riponendo sul tavolino che era vicino la sedia, dove ormai giaceva il cadavere, la pistola.

Mi pulii schifato il sangue che mi era schizzato sul viso col fazzoletto che avevo dentro al taschino.

Sinceramente, non era affatto un problema se mi sporcavo con del sangue che non era il mio. Ma mi dava altamente fastidio quando succedeva se indossavo un completo pagato una fortuna.

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