Capitolo 32

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(Canzoni consigliate: All The Things Lost - MS MR / Night Drive - HENRY).

Nerissa.

Quel giorno era passato il medico per visitarmi. Dopo ben cinque settimane, mi aveva dato il via libera per iniziare a muovermi di nuovo come una persona normale.

Ringraziando il cielo quando mi aveva cucita non aveva usato quello spago del cazzo che quando andavi a rimuoverlo ti saliva il sangue al cervello, bensì aveva usato i punti che si assorbivano da soli.

Li aveva anche chiamati con un nome specifico che avevo archiviato un secondo dopo averlo sentito.

Le ferite si erano rimarginate e già dal giorno dopo avrei potuto ricominciare ad allenarmi.

Inutile dire che fremevo dalla voglia di fare qualcosa.

Ma, ammisi a me stessa, che stare sul divano con Ethan mentre guardavamo il notiziario era qualcosa che preferivo di gran lunga che sudare in palestra.

Il pensiero che quella convivenza ormai era arrivata alla sua conclusione mi lasciava quasi un sapore agrodolce sulla lingua.

Ero felice di poter tornare a casa con Giselle, poter sgranocchiare cibo spazzatura mentre mi avrebbe raccontato l'ennesima serie tv e magari accarezzarle quel viso dolce mentre dormiva.

Ma, allo stesso tempo, non volevo lasciare quell'appartamento dalle mura scure e quella cagnolona che ormai faceva parte del mio cuore malandato.

Girai lo sguardo verso il profilo di Ethan, le luci della televisione marcavano la sua espressione accigliata rivolta davanti a sé. Aveva ancora i capelli umidi dalla doccia e una ciocca scura gli ricadeva sul sopracciglio, donandogli quell'aria un po' disordinata che avevo imparato ad apprezzare.

La maglietta bianca a maniche corte che indossava gli andava talmente stretta da mettere in risalto ogni spigolo dei suoi muscoli, riuscivo perfino a notare l'alone scuro dei suoi capezzoli al di sotto di essa. Per non parlare di quei pantaloni comodi che nascondevano alla perfezione la sua prestanza fisica, rendendolo un mistero tutto da scoprire.

Forse mi sarebbe mancato guardarlo quando lui non se ne rendeva conto.

E capitava davvero spesso.

Quando camminava con quella sua andatura spavalda sembrava un predatore a riposo, ma che al minimo movimento avrebbe potuto prendermi per il collo e sbattermi al muro.

Quando cucinava e, fletteva i muscoli per aiutarsi nei movimenti, non ero mai riuscita a distogliere lo sguardo da quel movimento ipnotizzante.

Appena sveglio aveva quell'aria un po' sbarazzina da farlo sembrare più giovane dei suoi trent'anni, e non spiccicava parola senza aver prima preso un sorso di caffè e dato una carezza tra le orecchie di India.

Lo avevo osservato, studiato e mangiato con gli occhi in ogni suo momento della giornata.

Nella sua tranquillità e silenzio ci trovavo qualcosa di veramente attraente, come una musa.

Forse mi stavo immaginando ogni cosa, ma avrei potuto giurare di averlo visto fare lo stesso con me. Era anche vero che ero stata come una moribonda nelle prime settimane in cui ero stata lì, ma il suo sguardo era stato perennemente allacciato alla mia figura.

Per non parlare di tutte quelle volte in cui aveva dovuto medicarmi le ferite e non riusciva a tenere le mani e la bocca al loro posto, lasciandomi poi con un senso di frustrazione nel sangue.

Quindi, dopo tutte quelle settimane, avevo una gran voglia di assaggiare il suo sapore. Tracciare i contorni del suo corpo con la lingua e lasciare che mi dominasse come se mi stesse impartendo una lezione.

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