Capitolo 14

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(Canzone consigliata: Soldier - Fleurie & Tommee Profitt.)

Nerissa.

La mattina dopo, mentre sorseggiavo il mio caffè nero guardando Las Vegas dalle vetrate della mia suite, ancora pensavo alla sera prima.

A come Ethan mi avesse praticamente mangiata con gli occhi e a come non mi era dispiaciuto affatto.

Anzi, avrei voluto scoprire che sapore avesse la sua pelle accaldata dal desiderio.

Come avrebbe mosso quei fianchi contro i miei, come le sue mani mi avrebbero stretto i capelli in una morsa e a come il suo viso si sarebbe contratto dal piacere dell'orgasmo.

Ci avevo pensato tutta la notte, a dire il vero.

Ci avevo pensato anche mentre guardavo lo specchio che avevo come soffitto e immaginato che non fossero le mie dita a darmi piacere, bensì le sue.

Avevo guardato quello specchio immaginandomi sotto di lui, immaginando come i suoi glutei si sarebbero contratti spingendo dentro di me. Provando ad immaginare persino i suoi gemiti, anche se avrei scommesso che non fossero niente di chiassoso.

D'altronde non l'avevo mai sentito alzare la voce, oppure urlare.

Così, quella mattina, avevo deciso di cercare conforto nell'amaro del caffè.

Se solo un suo sguardo di quel genere, per di più falso, aveva scatenato simili sensazioni, non era affatto un buon segno per me.

Né per nessuno.

Riconoscevo di avere un serio problema con la possessività e, mi rendevo conto anche, che a volte rendevo davvero difficile la vita alle persone a cui tenevo.

Come, per esempio, con Giselle. Ma lo facevo per la sua protezione e anche un po' per egoismo, ad essere sincera.

Perché egoismo, dite?

Perché se avessi perso mia sorella, avrei perso anche quel briciolo di umanità che mi era rimasta. E volevo tenermela ancora per un bel po'.

Il mio riflesso su quella vetrata mostrava una donna che non aveva affatto dormito, con tanto di vestaglia sgualcita.

Ammetto che quella notte mi ero rotolata abbastanza nelle lenzuola.

Il suono di un bussare sommesso mi colse di sprovvista, tanto quasi da farmi cadere il caffè.

Mi accigliai confusa andando verso la porta, non aspettavo nessuno e Giselle ancora dormiva profondamente.

Infatti, quando aprii la porta non c'era nessuno.

Se non un altro biglietto indirizzato a me.

Lo presi e chiusi la porta con un colpo d'anca mentre lo aprivo.


"Le note musicali non sono più di cinque,

Eppure nessuno può dire di aver udito tutte le loro combinazioni.

I colori non sono più di cinque,

Eppure nessuno può dire di aver visto tutte le loro combinazioni.

I gusti non sono più di cinque,

Eppure nessuno può dire di aver assaggiato tutte le loro combinazioni."

-Sun Tzu


Ancora non riuscivo a collocare quella calligrafia a qualcuno. Ed erano passati anche giorni da quando avevo ricevuto l'ultimo biglietto, tanti da essermene dimenticata come una principiante del cazzo.

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