Capitolo 51

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(Canzone consigliata: Feel Something - Jaymes Young).

Nerissa.

Erano passati quattro giorni.

Quattro giorni dal momento in cui la mia vita aveva preso le sembianze di un quaderno completamente bianco, del tutto nuovo. Come se ora avessi la possibilità di scrivere i miei giorni come meglio credevo, ma non sapevo cosa scrivere. Non sapevo come fare il passo successivo.

Ero sempre stata mossa dalla voglia di soddisfare mio padre, di odiare mia madre e, soltanto dopo, dalla voglia di rivalsa verso Thomas Tornei.

Ora sentivo che non avessi più uno scopo, come se stessi arrancando nelle ore che passavano. Ed era strano, visto che tutto quello che avevo sempre desiderato nel profondo, la libertà, ora la avevo.

Ma non avevo più la possibilità di conoscere Kim a fondo, di conoscere quali fossero i suoi gusti in fatto di musica o il suo piatto preferito. Avevo solamente un vago ricordo, che ormai si era ripiegato su sé stesso per colpa del tempo, della sua risata cristallina. Ma non sapevo se quell'immagine fosse realistica o solamente un frutto della mia mente. Il fatto che non lo sapessi con certezza non aiutava certo ad alleviare la mia frustrazione.

Avevo camminato insieme alla morte per così tanto tempo che ora non sapevo come comportarmi con quella sensazione che avvertivo nel petto. Come se fosse vuoto, oppure solamente pesante. Non riuscivo nemmeno a descriverla.

Dopo quello che era successo in quella villa, una sequela di vicende mi si erano scaricate addosso. Ma avevo deciso di procrastinare, di evitare di focalizzarmi su quello che c'era da sistemare per controllare a vista mia sorella.

Giselle era stata silenziosa e si era mossa in punta di piedi per tutta la casa, non sapevo se lo avesse fatto per evitare di disturbare oppure perché realmente era diventata uno spettro senza una meta precisa.
Era un gioco del tutto crudele quello della vita.

Non era mai stata una semplice partita a poker, e in un certo senso lo era stata lo stesso.

Come se la vita fosse spettatrice, aspettando nell'ombra con il suo amico tempo al suo fianco. E proprio quando avremmo pensato di star per vincere, ecco che lei usava l'arte del bluff a suo vantaggio.

Avevo sempre voluto una vita comandata solamente da me, senza la presenza ingombrante di mio padre. Eppure, ora non sapevo nemmeno come muovermi. La vita mi aveva donato quello che desideravo, ma in un suo modo del tutto macabro.

Era stato un bluff del cazzo, ma efficace.

Erano passati quattro giorni.

Quattro giorni in cui avevo preparato il funerale di entrambi. Avrei voluto evitarlo, ma alla città serviva piangere il loro più grande investitore e peccatore.

Avevo risolto con la polizia i loro dubbi e fatto comprendere loro di starne fuori, per evitare che da un problema ne sorgesse un altro di cui non ci eravamo mai preoccupati prima. Thomas Tornei aveva sul suo libro paga la maggior parte della città ed era toccato a me rassicurare tutti che avrebbero avuto sempre la loro porzione di ombre nella loro vita.

Avevo lavato il corpo di mio padre dal sangue che lo aveva ricoperto, lo avevo vestito con un completo che avrebbe potuto costare come un appartamento. Gli avevo pettinato i capelli e cercato in tutti i modi di chiudere la sua mascella. La sua pelle era stata fredda sotto le mie cure, ma mai come quella di Kim.

Quando era toccato a lei, non ero riuscita a mantenere quella sorta di distacco che ero riuscita ad usare a mio vantaggio con mio padre. Ogni movimento che avevo compiuto per toglierle il sangue di dosso era stata una pugnalata nel mio di stomaco. Troppe volte mi ero ritrovata a vomitare in un secchio mentre mi prendevo cura di lei.

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