Capitolo 55

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(Canzone consigliata: WILDFLOWER - Billie Eilish).

Nerissa.

Il mattino dopo avevo un senso di oppressione al petto, come se il mio cuore si stesse ribellando per le decisioni prese dalla mia testa. Come volesse uscire fuori e gridare i miei sentimenti così discordanti tra loro.

E non era nemmeno servito quel messaggio rassicurante che mi aveva inviato Victor durante la notte, dove mi aveva esplicitamente ordinato di farmi da parte e che io e Giselle eravamo al sicuro.

Odiavo starmene in disparte a guardare e aspettare, ma sapevo che negli affari di Victor era meglio non immischiarsi se non eri preparato. Ed ero abbastanza intelligente da capire quando potevo fare qualcosa e quando meno. Gli sarei solamente stata di intralcio e avrei peggiorato le cose, avrei messo in pericolo anche mia sorella e Ethan. Per quanto riguardava la mia persona non mi interessava così tanto, anche se col passare dei giorni stavo imparando a camminare nella mia pelle senza sentirmi a disagio, a piacermi un po' di più.

Ma quel senso di oppressione non faceva che peggiorare, ogni respiro era sofferto e avrei voluto solamente prendere quel cuore divenuto pesante e lacerarlo fino a quando di lui non sarebbe rimasto che sangue.

Avevo deciso di fingere, di tornare nei panni del "Diamante grezzo" ma non sempre riuscivo a mettere sottochiave i miei sentimenti e i miei pensieri. Per anni sono riuscita a chiudere quella parte di me stessa che voleva provare emozioni, ma ora ogni volta che Ethan mi accarezzava o mi guardava con quel suo modo così crudo, non riuscivo a frenare i miei sentimenti. Non riuscivo a fingere del tutto che stesse andando ogni cosa pressoché bene. Perché non era la verità.

Mi sentivo morire, a dirla tutta.

Ma nonostante avevo quella guerra dentro me stessa, avevo promesso a Giselle che l'avrei aiutata con il suo allenamento. Ecco spiegato il motivo per cui mi trovavo nella palestra del palazzo Brancoft con mia sorella che mi guardava piena di aspettativa. I suoi occhi dolci erano colmi di determinazione mentre ispezionavo i suoi punti deboli.

«Oggi lavoreremo sul tuo baricentro», spiegai mentre le giravo intorno. «La prima cosa che devi imparare è l'equilibrio, senza quello rischieresti di trovarti stesa a terra in meno di un minuto.»

«Sean mi ha aiutata in questo.»

«Bene, allora», accennai un sorriso mentre tornavo davanti a lei. «Mostrami cosa hai imparato.»

Vidi il suo viso contrarsi, come se si sentisse a disagio.

«Non sentirti a disagio, Lele», le sorrisi ampiamente per rassicurarla. «Se sbaglierai, ti aiuterò.»

La vidi annuire prima di caricare un pugno verso il mio viso, che schivai mentre la colpivo alla gamba. Avrei voluto calcare un po' la mano con lei, ma non desideravo farle male per farle comprendere dove sbagliava. Non ero mio padre.

Avrei potuto insegnarle le stesse cose ma senza infliggerle dolore.

«Fai attenzione a non rimanere scoperta», spiegai mentre le prendevo un polso. «Quando stai caricando un pugno, assicurati che anche l'altra mano sia al sicuro. Se il tuo avversario è più veloce di te, rischi che ti intrappoli il polso in questo modo.» Le strinsi leggermente le dita intorno al polso per farle capire quanto potesse essere fatale una presa di quel genere.

«E se succede?»

«Hai sempre l'altra mano per colpire, le gambe», continuai a spiegare mentre le liberavo il polso. «In questo caso ci stiamo allenando in un corpo a corpo, altrimenti avresti avuto un'arma.»

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