Capitolo 21

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(Canzoni consigliate: In My Blood - Tommee Profitt/ Careful - Lucky Daye).

Nerissa.

Potrei dire una bugia oppure ammettere come realmente mi sentivo mentre Ethan mi seguiva al piano di sopra, percorrendo quegli stessi scalini che avevo sceso per andargli incontro.

Il modo in cui mi aveva guardata non credo che riuscirei a spiegarlo, mi aveva guardata come se fossi un incubo di cui non poteva fare a meno.

Un incubo che gli causava dolore fisico ma che creava assuefazione.

Ormai la mia attrazione nei suoi confronti era innegabile ed ero davvero stanca di cercare di trovare una spiegazione logica al modo in cui mi sentivo quando ero in sua compagnia, l'adrenalina che mi scorreva nelle vene.

E io adoravo drogarmi di adrenalina.

Il mio pensiero non era cambiato da quella volta in ascensore; ne volevo ancora, ancora e ancora. Fin quando di me non sarebbe rimasto che polvere.

Volevo bruciare e soffrire per quell'adrenalina.

E credetemi quando dico che non sapevo quanto fosse positivo un pensiero talmente distruttivo, talmente potente.

«Ci sono delle telecamere sparse ovunque.» La sua voce mi fece tornare con i pensieri a quello che dovevamo fare.

Lo guardai da sopra la mia spalla alzando un sopracciglio. «Ti sembra che non sappia com'è disposta la sicurezza in questa villa del cazzo, Brancoft?» Ridacchiai tornando a guardare davanti a me, percorrendo quel corridoio infinito che ci avrebbe portato dove avevo bisogno di fare una fermata. «Conosco ogni centimetro quadrato, quante sentinelle ci sono a vista e quante ce ne sono nascoste, ogni cimice installata...» Continuai a camminare fin quando sulla mia destra non comparve la porta della stanza che stavo cercando. «E si dà il caso che io conosco anche svariati codici e tutta quella roba che ci serve.» Feci un gesto noncurante con la mano.

Sentivo la sua presenza alle mie spalle come se fosse una scarica elettrica per i miei neuroni, non riuscivo ad avere un minimo di controllo. E l'unico motivo per cui cercavo di controllarmi era perché avevamo davvero delle cose importanti da fare.

Altrimenti avrei fatto ben altro, come approfondire il fatto che quella lingua sulla mia cicatrice più dolorosa aveva creato un boato sulla mia pelle.

Ma non era il momento.

Accanto a quella porta di color avorio c'era una piccola rientranza dove aspettava una piccola tastiera per immettere i vari codici di accesso, quella porta non si sarebbe aperta per chiunque.

Ma per "il Diamante grezzo" lo avrebbe fatto.

Digitai il primo codice.

Poi il secondo.

Ed infine il terzo, un piccolo scatto della serratura mi fece quasi accennare un sorriso.

Lo avevo già specificato che mio padre si fidava così tanto del suo sicario che mi aveva rivelato anche cose molto compromettenti?

Lui era sempre stato sicuro del fatto che fossi il suo fottuto cagnolino, non aveva mai preso in considerazione che io potessi nuocergli in qualche modo.

Perché? Perché da bambina avevo giurato, dopo la quinta o la sesta volta che ci ero finita, di non tornare mai più in quel seminterrato.

Non avrei mai più mangiato pane raffermo e polvere.

Non avrei mai più pisciato in un secchio pieno di merda rischiando delle infezioni non indifferenti.

Non avrei mai più sentito la bocca secca per la sete e per la mancanza di igiene.

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