Capitolo 9

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Simon

«Simon, aspetta un momento».

La voce di mia madre mi ferma quando sono con una mano sulla maniglia. Esito soltanto un secondo, quando sento i suoi passi dietro di me, apro la porta.

«Devo andare» rispondo scendendo in fretta le scale del mio palazzo. Oggi le ragazze hanno cambiato i loro impegni e quando non sono a casa, preferisco uscire piuttosto che essere costretto a parlare con mia madre. So che la sto evitando da giorni, mi rendo conto che dovrei parlarle, ma per quale motivo? Quello che è successo non può essere cancellato facendo due chiacchiere e preferisco essere lasciato in pace.

Oggi non ci sono gli allenamenti e invece avrei proprio bisogno di sfogarmi quindi decido di fare due passi a piedi anziché prendere l'auto.

Percorro le familiari strade di SoHo dove c'è il solito afflusso di persone che entra ed esce nei vari negozi che attraverso. Mi fermo a un semaforo e controllo le notifiche sul telefono. Mitch mi scrive se voglio raggiungerlo al solito posto e per incentivarmi manda una foto di un grosso hamburgher. Anche se mi fa sorridere perché mi conosce bene, declino l'invito e continuo a camminare. In questo momento ho bisogno di qualcuno che mi ascolti senza giudicare e anche se non ho appuntamento con la dottoressa J., decido di fare andare nel suo studio.

Venti minuti a piedi aiuteranno le mie gambe ad essere in forma e non mi dispiace percorrerli per arrivare a Greenwich anzi stare fermo avrebbe solo peggiorato il mio stato d'animo. Detesto rimuginare sulle cose senza trovare una soluzione e questa psicologa che all'inizio non volevo nemmeno vedere, si sta dimostrando un'ottima ascoltatrice.

Svolto l'angolo per salire nel suo palazzo e sono travolto da un corpo morbido che mi finisce addosso. La riconosco all'istante e il mio umore cambia subito.

«Ehi Florida, mi sembrava di averti detto che un saluto sarebbe bastato invece sei sempre pronta ad abbracciarmi con calore».

Amber mi lancia uno sguardo seccato, si scosta da me come se fosse stata punta da un insetto fastidioso e sistema la borsa sulle spalle. Oggi indossa una maglia gialla di una taglia più grande e dei jeans scuri, i capelli legati in un'alta coda di cavallo fanno risaltare quei splendidi occhi azzurri. Mi chiedo perché si ostini a non valorizzarsi di più, insistendo per indossare quei vestiti che non le rendono giustizia e che la coprono anche troppo. Di certo non si veste come la maggior parte delle ragazze che conosco, ma questo non mi impedisce di essere ancora più incuriosito da lei.

Mi sto abituando alle sue repliche pronte e le battute pungente e sono sorpreso dal suo silenzio.

«Tutto bene?»

«Sì» risponde svelta. «Scusa, devo andare»

«Quanta fretta. La seduta con la dottoressa J. non è andata bene?»

«Devo andare» ripete fissandomi appena eppure mi basta che per capire che sta mentendo. Conosco benissimo quello sguardo e lo comprendo più di quello che pensa. Non conosco la sua storia, ma rivedo in lei la mia stessa voglia di evadere dalla realtà almeno per qualche momento. Forse non ho bisogno del mio medico oggi, ma di una distrazione vera e propria.

«Si dia il caso che anch'io abbia bisogno di distrarmi, vieni con me?»

«Cosa?»

«Vieni» ripeto sicuro. Poi, senza darle il tempo di rifiutare afferro la sua mano e iniziamo a camminare. Non sembra badare a me o a ciò che ci circonda, ma mi inorgoglisce parecchio sapere che si fida di me da seguirmi senza protestare.

Tenerla per mano non mi dispiace per niente ed è la prima volta, certi gesti appartengono a categorie di persone di cui mi sono sempre tenuto alla larga. Non voglio una storia seria adesso, ho altre priorità e sono sempre scappato da coloro che volevano di più, eppure tenere Amber per mano mi fa sentire bene e il malumore che avevo poco fa sembra essere lontano anni luce. Che cos'ha di così speciale questa ragazza?

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