Capitolo 48

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Simon

Sono seduto da cinque minuti, ma sembra che siano passate ore. La preside ha chiamato mia madre dopo che ho colpito Holden, ha un occhio nero, il naso rotto e qualche costola incrinata ma non sono pentito. Nemmeno un po'. Quando ho visto quello che stava facendo ad Amber ero fuori di me e la rabbia ha preso il sopravvento. L'ho colpito, ma non mi sono sentito meglio perché lei non era con me. Lontana, come se non mi vedesse mi ha spaventato a morte. È svenuta tra le mie braccia e l'ho portata subito in infermeria, hanno chiamato sua zia e io sono bloccato qui in quest'ufficio mentre la mia ragazza sta male e ha bisogno di me.

Combatto l'impulso di battere il piede a terra per il nervosismo mentre la preside Hasford continua a sfogliare le sue carte per rivolgermi poi un'occhiata di rammarico.

«Sei sempre stato uno studente modello Simon. Un atleta di degno rispetto, eppure il comportamento di oggi mette in discussione ogni cosa. Nella nostra scuola non tolleriamo certi comportamenti».

«Mio figlio non è una persona violenta» interviene a quel punto mia madre. Da quando è entrata in questa stanza non ci siamo rivolti la parola, ha ascoltato in silenzio il resoconto della preside ed è la prima volta che parla. Non le ho mai dato motivo per venire a scuola in quest'ufficio anche se molti miei compagni sono ospiti quotidiani. È parecchio frustrante essere all'ultimo anno e avere tua madre convocata come se tra poco non dovessi compiere diciotto anni.

«Abbiamo testimoni che dimostrano il contrario» la corregge la preside.

«Ho colpito Holden, ho ammesso la mia colpa» sbotto frustrato. «Ora però devo andare a vedere come sta la mia ragazza, quindi possiamo fare in fretta?»

So di essere sgarbato, ma non riesco a farne a meno. Sto solo perdendo tempo quando Amber ha bisogno di me. Prima non sembrava nemmeno vedermi, poi mi ha riconosciuto e io so che devo essere al suo fianco quando si sveglierà.

«Non posso lasciar correre, lo sai vero? Devo prendere provvedimenti».

In questo momento ho solo una priorità e non mi interessa niente di quello che vuole fare, sono pronto a dirglielo ma mia madre è più veloce.

«Spero non vorrà giocarsi la carta dell'espulsione signora Hasford. Non credo che gioverà alla squadra e alla scuola se mio figlio sarà espulso proprio adesso in prossimità delle ultime partite finali. Sono certa che anche il coach Johnson sarà d'accordo, vogliamo chiamarlo?»

La preside guarda mia madre a disagio.

«Signora Torres...»

«Mi risulta che lei abbia un debito di riconoscenza verso mio figlio e i suoi amici» la interrompe mia madre. «Sono stati in grado di fermare uno spaccio di droga proprio in questa scuola alla festa di Natale, un'espulsione sarebbe un premio adatto a uno studente che porterà il nome della scuola all'ennesima vittoria?»

Da qualche tempo non racconto più molte cose a mia madre e sono sorpreso che lei sappia di quello che è successo alla festa di Natale, ma non ho tempo per pensare a chi abbia fatto la spia perché l'espressione della preside cambia. Per lei è fondamentale avere il nome del suo istituto in cima alla classifica dei vincitori e sa benissimo che senza la mia presenza in campo, la squadra ne risentirebbe parecchio. Forse vincerebbe lo stesso, ma sarebbe rischiare grosso e non può permetterselo visto che l'anno prossimo non sarò più qui. E poi c'è la questione droga, non può permettere che la notizia trapeli quindi concede a entrambi un sorriso accomodante.

«Ovviamente l'espulsione possiamo evitarla, un giorno di sospensione credo che sarà più che sufficiente».

«Senza ripercussioni sulla media scolastica naturalmente» contrattacca mia madre da perfetto avvocato qual è.

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