Capitolo 49

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Simon

Ci metto un'infinità di tempo a trovare parcheggio, poi salgo le scale quasi di corsa e busso al campanello mentre il senso d'angoscia che mi ha accompagnato per tutto il tragitto continua ad aumentare.

La zia di Amber mi guarda con un'espressione sorpresa quando apre la porta. Non accenna a un sorriso quando vede eppure so di essergli simpatico, ma ora sembra che io sia il nemico e questo suo strano atteggiamento mi mette in allarme.

«Posso vedere Amber?»

«Sta riposando adesso e non credo sia il caso di disturbarla»

«Voglio solo parlarle per pochi minuti».

«Amber non è in condizioni di vedere nessuno adesso, mi dispiace». La signora Collins scuote la testa e sta per chiudere la porta, ma io sono più veloce e lo blocco con un piede.

«Non so cosa le abbiano detto, ma io ero con lei quando è svenuta e adesso sono qui perché voglio sapere come sta. Me ne andrò subito, le assicuro che mi basta qualche istante».

So di essere insistente, ma non me ne andrò senza vederla.

«Tess, credo sia il caso di farlo entrare».

Non riconosco subito la voce, ma ha sortito l'effetto desiderato perché la zia di Amber di sposta e mi ritrovo davanti l'ultima persona che mi aspettavo di vedere in questa casa.

«Dottoressa J.!»

«Ciao Simon» mi sorride brevemente la donna. Poi si sposta per lasciarmi passare. «Sapevo che saresti arrivato».

I suoi occhiali rosa appaiono fuori luogo con la sua espressione seria e preoccupata e io comincio a temere il peggio.

«Mi state nascondendo qualcosa, Amber sta male?»

«Sta riposando, sua zia non ti ha mentito e ne ha bisogno in questo momento povera ragazza».

«Lei sa cosa le è successo vero?» Non ho bisogno di spiegare che parlo del suo passato perché so che la dottoressa ha compreso perfettamente, d'altronde Amber non andrebbe da lei se non per superare un trauma passato. Mi ha assicurato che quel pervertito di suo padre non è andato a fondo, ma la reazione che ha avuto quando ci baciavamo sul suo letto e la sua naturale tendenza ad essere lontana dal genere maschile mi fanno temere il peggio.

«In questo momento ha bisogno di un po' di spazio Simon, credimi ne ha un disperato bisogno»

«Io posso aiutarla» dichiaro convinto. «Lei ha bisogno di me adesso quindi entrerò in quella stanza con o senza il vostro permesso».

Quando mia madre mi ha costretto a frequentare le sedute della psicologa della scuola, ero infastidito e seccato da non potermi rifiutare. Pensavo che non mi servisse a niente parlare con un'estranea dei miei problemi personali ed ero così furioso con lei per avermi obbligato a farlo. Invece, seduta dopo seduta, la dottoressa J. è riuscita a conquistare la mia fiducia. Mi ha aiutato davvero a metabolizzare quello che sentito, a placare quella furia devastante che mi avrebbe distrutto ed ecco perché ho suggerito ad Amber di parlare con lei convinta che potesse indirizzarla nella giusta direzione come ha fatto con me. Adesso però non ne sono più tanto convinto, ho imparato a conoscere quello sguardo e so che non mi sta dicendo tutto e la cosa non mi piace per niente.

«Non voglio diventare una persona sgradevole» interviene a quel punto la signora Collins. «Ma questa è casa mia e preferisco che tu esca Simon, non è il momento adatto per vederla. Ha bisogno di riposare te l'ho detto, quando e se vorrà vederti sarà lei a chiamarti».

Non sembra la stessa persona che ho conosciuto, c'è paura nel suo sguardo e anche preoccupazione. Forse se non sapessi quanto ha fatto per Amber, in questo momento odierei i suoi modi sgarbati, ma capisco che dietro tanta fermezza c'è solo la voglia di proteggere sua nipote.

«Non è niente contro di te credimi, ma per favore vai». Stavolta il suo tono è rammaricato e io capisco che è il caso di non insistere oltre anche se ogni fibra del mio corpo vorrebbe sfondare quella porta e andare da lei.

La dottoressa J. apre la porta e poi la socchiude dietro di sé mentre mi guarda con un lungo sospiro.

«So che sei confuso e amareggiato adesso, ma la situazione è abbastanza delicata»

«Amber voleva venire a parlarle oggi» dichiaro guardando la porta come se la mia ragazza potesse apparire all'improvviso. «L'avrei accompagnata e avremmo fatto una seduta diversa, è stata una sua idea ma io l'ho appoggiata. Volevamo provare a esorcizzare le sue paure col suo aiuto».

La dottoressa spinge gli occhiali sul naso come fa sempre quando elabora un'informazione importante, aspetto qualche secondo ma non aggiunge nulla e così le faccio la domanda più importante.

«Quell'uomo... suo padre, ha abusato di lei?»

Non ho alzato la voce, ma dentro di me sto urlando perché la sola idea mi annienta e non perché per me cambierebbe qualcosa, ma per Amber che è stata costretta a subire la violenza di un uomo che invece avrebbe dovuto solo proteggerla.

Lei mi guarda indecisa se rispondere o meno alla mia domanda, so che si sta chiedendo se sfidare il segreto professionale che la tiene ancorata alla sua paziente, ma alla fine cede e con un cenno della testa quasi impercettibile fa rilassare i muscoli delle mie spalle che respirano di sollievo.

«In questo momento la presenza maschile è l'ultima cosa che le serve ecco perché Tess ti ha mandato via» spiega in tono basso. «Non posso svelarti troppe cose, io ne sono a conoscenza perché sua zia mi ha informato prima che cominciassero le nostre sedute e sai che sto violando la mia etica già solo parlandoti adesso, ma so che tieni a lei e qualsiasi cosa ti dirò la terrai per te. Amber adesso ha bisogno di tempo per assimilare i ricordi che sono tornati a galla e tu dovrai essere molto paziente».

«Sono ricordi orribili vero?»

«La mente umana è difficile da interpretare. Spesso rileghiamo in un angolo le nostre esperienze più terribili per non provare quelle sensazioni tremende che accompagnano quei ricordi. È la mente a proteggerci, poi però capita qualcosa che riporta tutto a galla e sopportare tutto non è semplice».

«È stato Holden a scatenare tutto questo» mormoro parlando più a me stesso che a lei. Avevo già parlato al coach di quell'idiota, anche senza prove ero certo che facesse uso di sostanze stupefacenti e me ne sono accorto dai suoi occhi. Il signor Jhonson mi conosce e si fida di me, l'ha messo in panchina promettendo di trovare le prove giuste prima di mandarlo fuori dalla squadra e Holden si è infuriato quando ci ha sentiti parlare. L'ho lasciato andar via senza immaginare che avrebbe trovato Amber sfogando su di lei la sua frustrazione.

Quando sono andato al parcheggio per raggiungerla e l'ho vista con la maglietta alzata non ho ragionato con lucidità e mi sono lanciato addosso a lui ferendolo con rabbia. Se Amber avesse detto una sola parola forse gli avrei fatto ancora più male, invece quell'apatia mi ha scosso. Forse se fossi arrivato prima tutto questo non sarebbe mai successo.

«Non è stata colpa tua Simon» dice la dottoressa J. come se mi avesse letto nella mente. «Quello che è accaduto poteva capitare in qualsiasi momento, non devi colpevolizzarti per qualcosa su cui non hai responsabilità. Ti credo quando dici che Amber ha bisogno di te, ma devi essere paziente e aspettare che sia lei a chiamarti».

Ho i miei dubbi a riguardo. Amber è una ragazza riservata e cocciuta, riuscire a rompere quel muro protettivo in cui si chiudeva non è stato facile eppure quando l'ho scavalcato mi è sembrato di conoscere la vera Amber, la persona meravigliosa che si nascondeva in quel rifugio sicuro. Ho adorato quella persona ancor prima di conoscerla, sapevo che dietro quel muro c'è tanto altro e ora temo che ne potrebbe costruire un altro ancora più alto, impossibile da rompere.

«Adesso è meglio se vai» mi suggerisce la dottoressa tornando in casa. «E aspetta i suoi tempi».

Non vorrei andarmene, ma mi affido alle sue parole sapendo che agisce per il suo bene. Mi fido di lei e spero che basti.

«Le dirà che sono passato?»

«Lo farò» mi promette sparendo in casa.

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