8- Natsukashii.

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Natshkashii: (adj.) of some small thing that bring you suddenly, joyously back to fond memories, not with a wistful longing for what's past, but with an appreciation of the good times.

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Lilith.

I soldi nella busta che stringevo tra le mani erano il frutto del mio duro lavoro, ottenuti con sudore e fatica. Erano guadagnati onestamente, provenienti dalle mance e dai versamenti mensili che i genitori di Vera mi elargivano. Ero fiera di averli meritati.

Quando i nostri vestiti si sporcano, possiamo lavarli con cura; se ci bagniamo sotto la pioggia dopo un temporale, possiamo fare una doccia rigenerante. Ma quando la coscienza si macchia, come possiamo liberarla da quei segni persistenti che sembrano resistere al normale lavaggio della vita?

Nessuna preghiera, nessuna confessione avrebbe mai alleviato il peso dei miei sensi di colpa; niente avrebbe purificato la mia coscienza dalle macchie nere dei miei errori e dei miei peccati, e nessun Dio, se mai esistesse, mi avrebbe perdonato. I soldi nella busta erano puliti, ma le mani che li tenevano erano macchiate di sangue e colpe, e quelle macchie non sarebbero mai scomparse.

Seduta su quella panchina sgretolata, il freddo penetrava il mio cappotto consumato, mentre la luce fioca di un lampione riusciva a malapena a fendere la nebbia delle prime ore del mattino di Londra. Stringevo tra le dita la busta gialla, una sigaretta spenta penzolava tra le labbra. Avevo dimenticato l'accendino, di nuovo.

Erano le sette e dieci del mattino, il quartiere di Brixton ancora tranquillo e lontano dal solito trambusto urbano. Mentre il centro della città era presumibilmente invaso dal traffico e avvolto nella pesantezza dello smog, Brixton manteneva la sua quiete, almeno in quelle prime ore. I primi raggi di luce debole sfioravano le strade, delineando le facciate degli edifici, e l'aria fresca anticipava il risveglio di un quartiere che, per un attimo, si godeva la calma prima della tempesta quotidiana.

La giornata precedente l'avevo trascorsa immersa in un sonno profondo, grazie a una tisana a base di melatonina recuperata dalla dispensa di Rose. Il pomeriggio, nonostante avessi dormito più di dodici ore, la stanchezza persisteva sulle spalle. In serata, accompagnai la mia migliore amica a ritirare alcuni pacchi che aveva ordinato, e una volta a casa, trascorremmo la domenica sera stese sul trasandato divano del nostro salotto, guardando uno stupido show televisivo di cui non conoscevo il nome.

«Ciao, Lilith».

Nick mi si piazzò davanti, per poco non lo riconobbi. Aveva il capo chino e il cappuccio della felpa era così grande che gli copriva persino il viso. Giocava con la zip del suo giubbotto e schiacciava l'erba umida sotto i suoi piedi. Nick e io ci conoscevamo da tanto tempo ormai, era sempre stato il più bello e affascinante tra di noi. La pelle ambrata, gli occhi verdi, i capelli scuri e un fisico curato, reso ancora più imponente dal suo metro e novanta di altezza. Era un gigante buono, anche se non andavamo spesso d'accordo.

«A te» quasi gli tirai quella busta gialla con violenza, averla tra le mani iniziava a farmi sentire a disagio, gliela spiaccicai contro il petto e affondò contro l'imbottitura morbida del giubbotto.
«Tremila sterline, precise, ora quel pisciasotto del tuo paparino potrà pagare la badante».

Rise di gusto, visibilmente rallegrato dalle mie parole. «Oh cielo, magari fosse un pisciasotto... se lo fosse non sarebbe mica difficile farlo fuori».

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