49-Retrouvaille.

85 14 122
                                    

Retrouvaille: (n.) the joy of meeting or finding someone again after a long separation; rediscovery.

── ⋆⋅ ☾☼ ⋅⋆ ──
Julian.

"Sono due le cose che possono tenere lontane e separare due persone: la distanza e la morte."

"Non sono mai stata sotto in un rapporto."

"Mi fa sentire vulnerabile."

"Odio non avere il controllo."

"Sono stati anni infernali, Julian."

"Con te ci sono riuscita, capisci?"

Avevo finalmente compreso tutto, ogni singolo dettaglio. Nelle certezze che avevo trovato, tuttavia, si annidavano nuovi dubbi, come radici di un albero che si diramano nel terreno, estendendosi sempre più in profondità.

Lilith dormiva serena nel mio letto, avvolta tra le lenzuola che le coprivano le cosce, con il viso rilassato contro il mio petto. Non riuscivo a capire come facesse a dormire così coperta, con quell'umidità e quell'afa, ma non osai muovermi.

Vederla finalmente tranquilla, senza il solito cipiglio, era una visione rara, quasi preziosa.

A differenza sua, rimasi sveglio fino all'alba, incapace di fermare il flusso di pensieri.

Le cose che ci eravamo detti erano tante, e ancora di più quelle che avevo visto. Il mio cervello era impegnato a elaborarle, cercando di mettere ordine nel caos.

In quei tredici anni, Lilith aveva attraversato un inferno, un tormento cucito su misura per lei, e lo aveva fatto in completa solitudine, senza mai condividerlo con nessuno.

Non mi servivano altre prove per comprendere che dietro tutto ci fosse Maxwell Foster. E non era solo: c'erano Blair, Lauren, Gerard, Trevor e quel Nick coinvolti fino al collo.

Maxwell conosceva Lilith da sempre, e con tutta probabilità, aveva incontrato gli altri proprio nel periodo in cui lei era scomparsa.

C'erano ancora troppi tasselli mancanti: dove fosse stata, cosa avesse subito, e perché fosse stata costretta a sopportare e sopravvivere in quel modo.

Il fatto che il suo disturbo fosse di tipo complesso, causato da traumi ripetuti durante l'infanzia e l'adolescenza, mi confermava che Lilith avesse vissuto in un vero e proprio incubo, dal quale, a distanza di anni, non riusciva ancora a svegliarsi.

La osservai dormire e caddi in un sonno profondo quando l'orologio segnava le sei del mattino, mentre i primi residenti del quartiere iniziavano a uscire di casa per andare al lavoro. Anch'io avrei dovuto fare lo stesso, ma con la ragazza tra le mie braccia, era fisicamente e psicologicamente impossibile alzarmi.

Per la prima volta dopo quasi sette mesi, sentii di averla ritrovata davvero. Non per i baci nei punti che nemmeno lei sapeva di avere, né per i gemiti con cui ore prima sussurrava il mio nome aggrappandosi a me.

Fu il fatto di averla spogliata di quella finta apatia, che mi riempiva di gioia e mi faceva sentire tutt'uno con lei.

Fu l'aver saputo che aveva letto il libro, l'averle tolto la fasciatura e baciato le cicatrici con il cuore spezzato, l'aver scoperto una parte di lei che non concedeva a nessuno.

Quando mi svegliai, erano già le undici del mattino. Il mio cellulare segnalava almeno cinque chiamate perse da Kristen e Andrew, e due messaggi in segreteria da parte di Ethan.

Con Lilith nel bagno patronale, ne approfittai per chiudermi nel secondo e mandare un messaggio ai miei due migliori amici, prima di richiamare Ethan.

«Buongiorno, detective, alla buonora».

𝑴𝑰𝒁𝑷𝑨𝑯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora