44- Anaxiphilia.

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Anaxiphilia: (n.) the act of falling in love with the wrong person.

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Lilith.

Per una persona come me, così ferita e incapace di percepire la realtà in modo chiaro, era impossibile immaginare di innamorarsi. Ancora più difficile era credere che qualcuno potesse innamorarsi di me.

La verità era che l'amore mi terrorizzava.

Troppe volte mani avevano accarezzato il mio volto solo per schiaffeggiarmi un attimo dopo; troppe volte parole dolci erano state usate per manipolarmi, riducendomi a un corpo senz'anima.

Quello non era amore né affetto. A un certo punto, lo avevo capito a mie spese e mi ero promessa di non cascarci più.

Ma proprio il non voler più fidarmi di qualcuno e il timore di essere ridotta a nulla mi avevano portato a credere di non meritare altro che odio. Non avevo più paura della violenza, in qualsiasi forma si manifestasse; ma un sentimento complesso come l'amore, quello sì che mi impauriva profondamente.

E quando Julian mi baciava con quella gentilezza e mi scrutava con quello sguardo ammaliato, come se fossi un'opera d'arte intoccabile, una parte di me si convinceva che quell'amore che leggevo nei suoi gesti e che lui non aveva mai espresso ad alta voce lo meritavo davvero.

Alla fine, ero solo una ragazza di venticinque anni che aveva vissuto circondata da uomini adulti che puntavano a ferirmi.

Non riuscivo a dare un nome ai miei sentimenti, e il solo tentativo mi angosciava. Ma sapevo che qualcosa dentro di me era già cambiato: ne ebbi la conferma quando baciai Julian, tra le lacrime che avevo nascosto per anni.

E lo capii definitivamente quando, preoccupata e con un nodo allo stomaco perché non volevo allontanarmi da lui, gli dissi che sarei stata poco presente nella settimana successiva per prendermi del tempo per me stessa.

A distanza di cinque giorni, sentivo incredibilmente la sua mancanza. Ed era sbagliato, tremendamente sbagliato.

«Come va la mano?» la voce di Gerard mi fece quasi sussultare.

«Bene» mormorai a voce bassa. «Non ho avuto bisogno di punti, Jake mi controllerà tra qualche giorno».

«Padre di Vera, giusto?» annuii e feci l'ultimo tiro di sigaretta, prima di spegnerla nel posacenere.

Feci una doccia veloce, indossai l'intimo e spalancai le ante dell'armadio, consapevole dello sguardo perplesso di Gerard. Lanciai sul letto qualsiasi capo mi capitasse a tiro, cercando di mettere insieme un outfit vagamente decente.

«Ma che stai facendo?»

«Non vedi? Decido cosa indossare questa sera».

«Lanciandomi i vestiti addosso?»

Mi voltai a guardarlo e notai che le mie camicie e i miei jeans erano sparsi sul suo corpo, coricato sul mio letto tra le lenzuola stranamente ordinate. Trattenni una risata e mi scusai con un sorriso sornione, aiutandolo a metterli da parte e posizionandoli al suo lato.

«Esci?»

«Sì, ed è un disastro».

«Perché?»

Analizzai con attenzione un vestitino grigio che non ricordavo nemmeno di avere nell'armadio, solo per poi gettarlo con disappunto sul pavimento e sbuffare sonoramente.

Non ne avevo parlato con Rose, né con Blair o Lauren, nemmeno con Nick e tanto meno con Trevor. Una parte di me si vergognava, l'altra aveva paura che fosse solo un sogno e che se l'avessi condiviso mi sarei svegliata.

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