48- Nepenthe.

85 16 202
                                    

Nepenthe: (n.) an ancient greek word, nepenthe is defined as a medicine for sorrow. It is a place, person or thing, which can aid in forgetting your pain and suffering.

── ⋆⋅ ☾☼ ⋅⋆ ──
Lilith.

La sigaretta spenta penzolava dalle mie labbra mentre sedevo sul davanzale della finestra, con le ginocchia al petto. Sfogliavo le pagine del libro, leggendo ogni parola e lasciando che la storia, che ricordavo vagamente, mi trascinasse con sé.

Erano le nove di sera, e avevo chiesto un permesso a Luke per saltare il turno al Guys' Night.

Avevo perso il conto dei giorni trascorsi dalla discussione con Nick e dal tentativo di Gerard di piantare un seme di speranza nel mio cuore, ma sapevo che erano stati giorni in cui mi ero tenuta lontana da tutti loro.

Non rispondevo alle loro chiamate e ignoravo spudoratamente anche Trevor quando provava a parlarmi durante i turni di lavoro.

Mi mancavano da morire, ma per qualche motivo non avevo il coraggio di farmi sentire o di guardarli in faccia.

Per un lungo periodo, il mio cervello aveva rimosso buona parte dei ricordi della mia adolescenza, archiviando anche la responsabilità e la colpa legate al motivo per cui i Foster Kids esistevano.

Passavo le mattine a lavorare a casa Rogers, i pomeriggi lontano dalla palestra per evitare Nick, e le notti dietro al bancone in silenzio, senza rivolgere neppure un'occhiata a Trevor.

Poi tornavo a casa, mi tagliavo la pelle e fumavo tre sigarette prima di addormentarmi. Mi svegliavo tra un incubo e un ricordo, mandavo giù pasticche e tornavo a dormire.

Quella sera, però, Rose era distesa sul mio letto a pancia in giù, con le gambe che dondolavano e il mento appoggiato sul palmo della mano.

Aveva una maschera per brufoli sul viso, la chioma rossa raccolta in una treccia sfatta, e un ghiacciolo alla menta nell'altra mano. Con lei in camera mia, non potevo fare niente, non potevo punirmi.

«Non capisco perché Chuck e Blair vengano amati e invidiati tanto...» mormorò. «Voglio dire, la loro relazione è piuttosto tossica, no?»

«Blair ha una relazione?»

«Non sto parlando di Blair Allan» ridacchiò, tenendo gli occhi fissi sullo schermo del suo portatile. «Parlo di Blair Waldorf».

«Non so, forse piace proprio perché è una relazione tossica» constatai, troppo immersa nella lettura per cercare di darle una risposta seria.

«Non ti ho mai vista leggere» mise in pausa l'episodio per osservarmi. «Di che libro si tratta?»

«Il piccolo principe».

«È un libro per bambini o ricordo male?»

«Ricordi bene, ma Julian non la pensa così».

«Perché?»

«Chi lo sa, ha un modo tutto suo di ragionare».

«Lo hai comprato per questo? Per capirci qualcosa?»

Stavo per dirle la verità, per confidarle che il libro me lo aveva regalato lui, dicendomi di leggerlo quando mi sentivo persa e sola, e che poi avremmo potuto discuterne insieme.

Ma la forza di parlare svanì solo al pensiero di dover aprire bocca. Il sorrisino malizioso sul viso di Rose mi offrì un'opportunità perfetta per chiudere velocemente il discorso.

«Torna a guardare le avventure degli adolescenti newyorkesi con urgente bisogno di uno psicoterapeuta, lasciami leggere in pace».

Rise sonoramente, e aveva ragione: sentir parlare me di terapia era al contempo sinceramente divertente e tragico.

𝑴𝑰𝒁𝑷𝑨𝑯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora