52- Kairos.

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⚠️TW: Il seguente capitolo contiene menzioni di autolesionismo. Potrebbe urtare la sensibilità dei lettori a causa della presenza di dinamiche disfunzionali. Vi prego di non romanticizzare in alcun modo le scene riportate nel capitolo. Buona lettura. ⚠️

Kairos: (n.) the perfect, delicate, crucial moment; the fleeting rightness of time and place that creates the opportune atmosphere for action, words or movement.

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Lilith.

I miei occhi assenti fissavano i tasti del pianoforte, immobili e lucidi. Avevo smesso di suonare da almeno dieci minuti, ma restare lì, a contemplare lo strumento, mi faceva sentire ancora trasportata in un'altra dimensione.

Ogni volta che le mie dita sfioravano quei tasti, qualcosa dentro di me si spezzava.

Mi faceva male portare avanti quella passione, perché ogni singola volta la gola mi si stringeva per il senso di colpa. Eppure, non riuscivo a farne a meno.

Il pianoforte e la musica erano il filo che mi legava al mio passato, alla parte bella, ma anche a quella brutta.

Nella parte oscura vedevo le scelte che mi avevano spinto verso il caos; in quella luminosa, il ricordo di riccioli biondi e occhi vivaci di un ragazzino che, quattro anni prima, mi aveva confessato i suoi sentimenti.

Chissà come stava, chissà se qualche volta mi pensava, Julian Madd. Il suo nome mi passava per la mente come un sussurro lontano, ma sempre presente. Era inevitabile, come se ogni nota suonata sul pianoforte richiamasse un ricordo di lui.

I due uomini appoggiati contro lo stipite della porta scorrevole mi riportarono bruscamente alla realtà.

Non era il momento di lasciarsi trascinare in memorie di un'infanzia ormai irrecuperabile.
Per quanto mi mancasse, per proteggere Julian avrei tenuto la bocca chiusa.

Non avrebbero mai saputo che ogni volta che cercavo di addormentarmi, lo immaginavo ancora lì, accanto a me, a leggermi una storia. Anche se ormai avevo diciassette anni e non ero più una bambina da favole.​ Non lo ero mai stata.

Maxwell se ne andò senza degnarmi di uno sguardo, lasciandomi sola con il silenzio pesante della stanza.

Suo fratello entrò subito dopo, chiudendo la porta dietro di sé con un gesto deciso.

Non incrociai il suo sguardo, né seguii i suoi movimenti, ma il tocco leggero delle sue dita che sfioravano il mio collo mi fece rabbrividire.

«Lilith».

«Non toccarmi» provai a divincolarmi, ma la mia lotta durò poco.

Ero totalmente prigioniera della sua voce, dei suoi gesti, delle sue parole. E provavo un odio profondo per me stessa a causa di questo, un disgusto che mi divorava.

Con Eddy riuscivo a combattere, con Max sapevo tenergli testa e ottenere almeno una parte di ciò che desideravo.

Ma con lui... era un'altra storia.

Il secondogenito dei Foster mi annientava, mi riduceva in polvere, e allo stesso tempo mi faceva sentire apprezzata, persino desiderata.

«Te li ha fatti lui?» chiese placido, tracciando con le dita le chiazze violacee sul mio collo. «Fino a ieri pomeriggio non li avevi».

«Non con le sue mani, l'ha chiesto a Eddy e a un altro tipo».

«Ti hanno legata a letto?»

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