47- Dozakh.

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Dozakh: (n.) a place of torment one believes they are in when they are separated from their lover; hell.

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Julian.

«Perché non mi ascolti?! Perché non prendi mai in considerazione ciò che ti dico?»

«Perché dici una marea di sciocchezze, Katherine! Suonare è la sua vita, e tu mi stai chiedendo di spezzarle le ali».

«Per l'amor del cielo, Sam, sei così cieco!».

«Si può sapere che cosa ti prende ultimamente? Eri la prima a sostenere la sua passione, e adesso? Cerchi di convincermi ad annullare i suoi corsi alla Compagnia».

«È spenta, Sam» pigolò la donna. «Non lo vedi? Non suona più come prima, sembra sia diventato un peso sedersi dietro quel pianoforte, ha persino mollato il violino. Qualcosa non va, sono certa che i suoi compagni di corso la stiano bullizzando in qualche modo».

«Sa difendersi da sola, ammesso che tu abbia ragione».

«Difendersi? Santo cielo, ha dodici anni! Anzi, non li ha ancora compiuti! E se avesse qualche problema con il maestro?!»

Katherine alzò nuovamente la voce, e le mie orecchie udirono anche una sedia cadere.

«Da quando frequenta i corsi di musica è cambiata, tua figlia sta male e tu non te ne rendi conto!»

Rimasi fuori la porta d'ingresso, mentre attraverso le vetrate del salotto sentivo distintamente le parole velenose che i due si scagliavano l'uno contro l'altra.

Sam Andersen e la sua compagna, Katherine, erano nel pieno dell'ennesimo litigio settimanale. Accadeva ogni mercoledì, sempre quando Lilith aveva le lezioni dalle tre del pomeriggio alle sei di sera.

Suonai il campanello due volte, e le loro urla si placarono all'istante. Mi diedi una rapida sistemata alla camicia bianca, scelta meticolosamente da mia madre.
Anche se la settimana successiva avrei compiuto tredici anni, la signora Madd insisteva affinché suo figlio indossasse una camicia impeccabile per ogni cena.

«Julian, caro».

Katherine aprì la porta con un'espressione mortificata dipinta sul volto. Sapeva che avevo ascoltato almeno la metà della loro lite. Si sentiva in colpa, anche se non aveva alcuna responsabilità diretta.

Una parte di me pensava che avesse ragione: qualcosa stava accadendo a Lilith, e sospettare di un gruppo di bulli sembrava l'ipotesi più ovvia e plausibile.

«Ciao, Kate» sorrisi. «La sala da pranzo è già pronta. La mamma ha detto che potete già raggiungerci a casa, se volete».

«Sì, certo. Tiro fuori il gelato dal freezer e arriviamo» anziché chiudere la porta e rimandarmi a casa, si fece da parte per lasciarmi passare.
«Ma sei qui per lei, vero? È di sopra, ha quasi finito di prepararsi».

Non me lo feci ripetere due volte: entrai e mi chinai per togliermi le scarpe, ma Katherine mi fermò con una carezza tra i capelli ricci, facendomi capire che non era necessario.

Mi osservò per un attimo, notando l'elastico al polso, prestato da Lilith, e la catenina argentata al collo, il regalo di Natale che mi aveva fatto l'anno scorso.

«Stai diventando proprio un bel ragazzo» si lasciò sfuggire. «Da grande sarai un uomo meraviglioso, fuori e dentro».

«Sei troppo gentile» ridacchiai. «Lo spero, comunque».

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