40- Nazlanmak.

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Nazlanmak: (v.) pretending reluctance or indifference when you are actually willing or eager; saying no and meaning yes.

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Lilith.

«Lilith!»

La mia reazione istintiva fu un repentino movimento del corpo, e una brezza estiva agitò i miei capelli lisci. Osservai Julian attraversare la strada che divideva le nostre case, attendendo il momento in cui sarebbe stato di fronte a me, con il fiato corto e lo zaino sulle spalle.

«Ciao, Julian» salutai con un timido sorriso. «Com'è andata a scuola?»

«Bene, si moriva di caldo in aula. Stamattina ti ho aspettata, ma non sei uscita».

L'aria estiva ondeggiava leggera intorno a noi, mentre Julian si aggiustava il colletto stropicciato della camicia e cercava di alzare le maniche senza sbottonare i polsini. Ancora indossava la divisa scolastica e, con lo zaino dietro la schiena, sembrava appena tornato. Era l'ultima settimana di giugno, la fine dell'anno scolastico e anche l'ultimo anno di scuola primaria per il mio migliore amico.

«Lo so, mi sono scordata di dirtelo ieri» ammisi imbarazzata, ma il suo sorriso fu gentile.

«Non fa niente» scosse il capo e si posò con la schiena contro i mattoni rossi che dividevano gli ettari del mio giardino dal viale esterno. «Dove sei andata?»

«Sono stata con papà al teatro, per suonare» rivelai, e Julian spalancò i suoi occhi innocenti in estasi.

«Per suonare? Al teatro?!» sembrò mille volte più contento di me. «Oddio, la Compagnia ti ha presa?!»

«Julian, non possono prendere una bambina di dieci anni» trattenni una risata e nascosi il naso dietro la pila di spartiti che tenevo stretta al petto. «Vogliono farmi entrare come studentessa».

«È fantastico!» le sue mani gentili strinsero le mie spalle in un abbraccio e i suoi boccoli dorati mi solleticarono la guancia. «Sono contentissimo per te, non puoi capire!»

«Pensi che sarò brava?»

«Penso che sarai la migliore; sai già suonare benissimo, imparerai altre tantissime cose».

Annuii e ricambiai quel gesto con un braccio libero. Poco dopo, si scansò e prese gli spartiti. Scherzando, disse che ormai era diventato più alto e forte di me e che le mie braccia erano troppo esili per reggere quel peso minimo. Gli risposi con una battuta, ma lui non parve per niente offeso e continuò ad attraversare l'enorme giardino della mia residenza fino alla porta d'ingresso.

«Lilith, stai nascondendo qualcosa?» domandò, mentre si toglieva le scarpe all'entrata.

«E che devo nasconderti?» ridacchiai, tirando giù la mia gonna rossa e togliendo le ballerine per rimanere a piedi nudi.

«Non lo so, però non sembri abbastanza contenta» si diede un'occhiata attorno e notò solo in quell'istante che la casa di tre piani era vuota. «Aspetta, ma non c'è nessuno? Ti hanno lasciata di nuovo sola?»

«Katherine è a lavoro, toccava a papà rimanere con me oggi» alzai le spalle poco interessata. «Ma è andato in ufficio dopo avermi lasciata qui; ha detto che questa mattina ha rimandato una riunione per accompagnarmi al teatro, e ora deve recuperarla».

«Scemo» borbottò, lasciandosi cadere a peso morto sulla penisola del divano.

«Non ti arrabbiare con mio papà, lo sai che ha sempre cose importanti da fare» la piccola me non stava giustificando un uomo adulto che doveva solo farmi da padre; voleva davvero che Julian non fosse mai arrabbiato, voleva vederlo sorridere sempre.

𝑴𝑰𝒁𝑷𝑨𝑯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora