57- Gibel.

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Gibel: (n.) not death, not suicide, but simply ceasing to exist; deteriorating in a way that is painful for others.

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Lilith.

L'ultima settimana di settembre segnava la fine dell'estate, che si era portata via le notti trascorse nel letto di Julian, i drink con i ragazzi e le lunghe chiacchierate con Rose, Andrew e Kristen.

Festeggiammo il compleanno di Andrew e Gerard qualche settimana prima, nello stesso modo in cui avevamo celebrato quello di Julian il quattordici agosto: a casa di Gerard, mangiando tutto ciò che Rose e Lauren preparavano e sorseggiando i drink preparati da me e Trevor.

Poi, verso sera, salivamo sul tetto a guardare il tramonto e le stelle, chiacchierando e facendo gli stupidi.

Si trovavano finalmente bene con il detective, ed ebbi persino l'opportunità di vedere Blair e il riccio parlare sottovoce. Cosa si dissero non l'avrei mai saputo, ma sapevo di essere io il soggetto della conversazione.

Poi, ognuno di noi era tornato alla propria routine: Julian aveva un impegno dopo l'altro, Andrew e Kristen erano tornati ai loro lavori, e Rose aveva dei nuovi turni al fioraio e in albergo.

Anche i ragazzi erano tornati ai loro ritmi. Avevano sempre eseguito i compiti di Max controvoglia, ma non avevano mai osato lamentarsi troppo, né cercato di rifiutarsi categoricamente.

Sapevano che, se l'avessero fatto, ne avrebbero pagato le conseguenze, e io, la loro spalla destra e più grande protettrice da quando quell'inferno era iniziato, non ero certa di poterli salvare.

Ma in quel periodo avevano conosciuto l'affetto sincero di persone come Andrew, Rose e Kristen. Avevano avuto modo di ampliare la loro cerchia e stare a contatto con persone genuine e sincere.

D'altra parte, Julian si era guadagnato la loro fiducia, e colui che un tempo rappresentava una minaccia per i nostri segreti era diventato, in quei mesi, l'unica figura di riferimento oltre a me.

Questa situazione li stava spingendo a disobbedire più spesso, portando alle inevitabili minacce di Maxwell.

In quei giorni, Nick era stato malmenato da Eddy; Lauren subiva una pressione costante che la faceva piombare nei suoi periodi bui; Blair e Gerard non avevano tregua, convocati nel suo ufficio a qualsiasi ora del giorno; Trevor era costretto a gareggiare illegalmente e a dormire dai nonni o con i suoi genitori, temendo che potesse accadergli qualcosa.

Maxwell Foster stava lentamente perdendo il controllo su di loro, e questo rappresentava una minaccia sia per i suoi affari che per la sua sicurezza legale.

Era tornato da un viaggio in Giappone solo da due settimane. Aveva chiamato Gerard e gli aveva riferito che aveva urgenza di vedermi.

Così, quel venerdì ventisette settembre, mi presentai davanti al suo studio.

Salimmo in auto, con Eddy alla guida, e nessuno dei due mi rivolse una parola. Volevo chiedere spiegazioni, ma quando capii che eravamo sulla strada che portava al cimitero di Brompton, a Kensington, decisi di non dire nulla.

Erano passate troppe settimane da quando mi aveva chiesto di andarci con lui, e non mi ero mai degnata di presentarmi.

La lapide di mia madre era pulita, immacolata, come nuova di zecca; ciò significava che Maxwell se ne prendeva cura come se fosse la cosa più preziosa che gli fosse rimasta. Io, invece, non andavo mai a trovarla.

«Ciao, Eve» mormorò.

Le sue dita si avvicinarono alla foto di mia madre e la sfiorarono appena. I polpastrelli carezzarono il nome inciso sulla fredda superficie di marmo e gli angoli della sua bocca si curvarono in un sorriso malinconico.

𝑴𝑰𝒁𝑷𝑨𝑯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora