55- Lethe.

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Lethe: (n.) a river in the Greek underworld that, when drunk from make souls forget the suffering of life; oblivion or something that make you enter oblivion and forget.

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Lilith.

Edward Davis non mi aveva mai tollerata; ero sempre stata una minaccia per lui.

L'unico punto debole di Maxwell Foster, l'unica persona capace di farlo vacillare, anche solo per un istante.

Alla fine, raramente ottenevo ciò che volevo, ma Edward non riusciva a sopportare l'idea che la mia parola avesse più peso della sua.

Si sentiva costantemente minacciato dalla mia presenza, dai miei atteggiamenti, dal mio sguardo distaccato e dalla mia lingua tagliente.

Lui non mi aveva mai fatto troppa paura, e a un certo punto della mia adolescenza smisi anche di soffrire per le sue parole cattive e i suoi schiaffi troppo forti.

Forse smisi proprio quella calda serata di luglio, nell'estate dei miei sedici anni e mezzo.

Eddy era seduto di fronte a me, la tavola era ancora vuota e c'eravamo solo io, lui e Blair in quella sala da pranzo. Gli altri ragazzi si stavano ancora preparando; io e la mora eravamo sempre le prime ad essere pronte.

Maxwell si stava lamentando con le cameriere della posateria scelta: diceva che quei coltelli erano troppo affilati e chiese di sostituire almeno i nostri, non voleva che dei ragazzini usassero coltelli così grandi e taglienti.

Ironico, per uno come lui, che ci sottoponeva a violenza psicologica un giorno sì e l'altro pure.

Blair era al mio fianco, si torturava le pellicine delle dita con gli incisivi. Era ansiosa, non era ancora riuscita ad abituarsi a quelle situazioni assurde.

Lauren ci raggiunse con la sua andatura lenta e debole. Aveva un aspetto trasandato, la pelle quasi trasparente sulle ossa sporgenti. I suoi movimenti sembravano sempre più incerti, come se il corpo non riuscisse più a sostenere il peso della sua stessa fragilità.

«Siediti qui» mormorò Blair, spostando la sedia al suo fianco.

«Devo proprio rimanere?» chiese in un sussurro, restando in piedi al mio lato. «Ho lo stomaco chiuso».

«Se Max vuole tutti e sei, significa che rimani anche tu» sputò acidamente Eddy, distogliendo gli occhi dallo schermo del suo cellulare. «Stai diventando un cazzo di stuzzicadenti. Il tuo sciopero della fame non serve a niente, non tornerai a casa tua; quindi, vedi di smetterla, e mangia senza fare storie».

«Ho detto che non ho fame, non riesco a mangiare» replicò Lauren. «Non ce la faccio, va bene? Non è un maledetto sciopero della fame!»

«I tuoi sono capricci».

Edward aveva ragione sul fatto che Lauren stesse perdendo troppo peso, e quello non era il corpo di una ragazza appena diciottenne.

I vestiti di Blair, che aveva quasi sedici anni, iniziavano a starle larghi, ed era preoccupante. Sempre più debole e pallida, sempre più spenta.

«Non capisci che non ci riesco?» insistette lei, portandosi dietro l'orecchio una ciocca dei suoi capelli lunghi, tinti di un castano che la spegneva ancora di più.
«Ho bisogno di aiuto, ma quello stronzo di Maxwell non mi ascolta! Mi ha annullato l'appuntamento dalla nutrizionista, ed è il terzo che cerco di prenotare!»

Lauren aveva alzato troppo la voce e a Eddy questo non piacque. Scattò in piedi, allungando una mano verso il suo viso, ma io afferrai il polso della ragazza e la trascinai dietro di me, facendole da scudo. Il braccio di Edward si bloccò, e mi riservò un'occhiata minacciosa.

𝑴𝑰𝒁𝑷𝑨𝑯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora