13- Mágoa.

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Mágoa: (n.) a heartbreaking feeling that leaves long-lasting traces, visible in gesture and facial expressions.

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Julian.

Non avrei mai dovuto sfiorarla in quel modo, né pensare di potermi avvicinare così tanto a quel corpo scolpito e a quello sguardo da incantatrice. Dovevo solo accertare che stesse bene e che non fosse svenuta nel suo appartamento; invece, mi ero tolto il giubbotto e l'avevo lanciato da qualche parte nella piccola abitazione.

Mi ero soffermato troppo a guardarla, si era appoggiata alla porta d'ingresso e l'avevo scrutata dalla testa ai piedi grazie alla luce fredda proveniente dalla cucina. Quei capelli scompigliati e lisci, la fronte sudata, gli occhi lucidi per la febbre, il vestito sgualcito alzato sopra le cosce, le sue gambe lunghe e le calze abbassate fino alle caviglie provocarono una scossa al mio sistema nervoso, un calore urgente mi salì fino alla gola e, prima che me ne rendessi conto, la mia ombra copriva il suo corpo.

Non avevo mai avuto l'intenzione di toccarla con insistenza; non era passato neppure per un momento nella mia mente di approfittare del suo silenzio accondiscendente per spogliarla di vestiti e bugie. Non avrei mai potuto farlo, né avrei mai avuto l'intenzione.

«Dov'è la tua stanza?» insistetti, allontanandomi leggermente dalla sua figura mentre le mie dita restavano avvolte dolcemente attorno ai suoi polsi. Nonostante la distanza, premeva le mani sul mio petto.

«Per un attimo ho pensato volessi fare sesso con me» commentò senza vergogna, tornando con quell'ombra velenosa e provocatoria negli occhi.

«E tu me lo lasceresti fare?» domandai incuriosito.

«Certo, sarebbe un enorme errore» fece qualche passo verso di me. «Non lo sai? Lilith Andersen è una professionista nel settore».

Sapevo bene quali carte aveva giocato: non cercava di farmi cedere, era consapevole che non l'avrei toccata in uno stato così vulnerabile e chiaramente poco lucido. La sua intenzione era provocarmi, istigarmi per testare fino a che punto sarei arrivato prima di spingerla via e uscire da quella porta.

Lilith continuava a fare questo, lo faceva costantemente: si avvicinava con il suo corpo come una calamita, attirandomi irresistibilmente, e non riuscivo a frenare il desiderio di sentire il suo respiro mescolarsi al mio. Poi, però, mi respingeva con parole taglienti, spingendomi allo stremo perché voleva che mi tirassi indietro e la lasciassi sola. Le sue azioni, i suoi desideri e le sue parole arrivavano dritte come pugni nello stomaco, confondendomi, quando meno me lo aspettassi, come un temporale in una giornata di sole.

Il fatto che Lilith fosse alta ma comunque più bassa di me, mi costrinse ad abbassare leggermente il viso per raggiungere il suo orecchio con le labbra e poterle sussurrare qualcosa.

«Se lo dici così sembra che il tuo amico biondo non riesca più a soddisfarti» mormorai piano.

Lilith si allontanò da me in pochi istanti, il suo sguardo manifestava la sensazione di aver toccato una corda che avrei dovuto evitare. Nonostante il suo tentativo di celarsi dietro un muro di apatia, avevo già intravisto qualcosa della sua anima, solo la superficie.

La ragazza di fronte a me non incarnava più l'innocente e timida bambina che ricordavo. La donna che mi fissava senza alcuna emozione aveva un'aria oscura, occhi vuoti e una bocca carica di parole inespresse. Le spalle piegate sotto il peso delle responsabilità, ai piedi catene di sensi di colpa difficili da sciogliere e l'essenza carica di scheletri nell'armadio.

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