35- Fabulist.

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Fabulist: (n.) a liar; a person who invents elaborate and dishonest stories.

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Julian.

Gli occhi erano gonfi di lacrime e le guance paffute arrossate dallo sfregamento contro il cuscino. Faceva un caldo terribile: era l'estate dei miei nove anni e avevo appena smesso di piangere dopo due ore. Con il viso affondato nel guanciale e il vento che scompigliava i miei ricci ribelli, proveniente dalla finestra spalancata, singhiozzai silenziosamente e ignorai la porta della mia camera quando si aprì.

«Jules» la voce di mia madre giunse alle mie orecchie, ma feci finta di niente. «È dalle cinque del pomeriggio che te ne stai lì».

«Vattene via!» esclamai arrabbiato.

«Abbassa i toni, signorino» sospirò la donna. «Sono solo venuta a dirti che hai visite e che tra poco è ora di cena».

«Non voglio vedere nessuno!» dissi, nascondendo il tremolio nella mia voce e trattenendomi dal piangere ancora una volta.

«Proprio nessuno?»

«Nessuno!»

Rassegnata, si allontanò. Sentii il rumore delle sue ciabatte sul pavimento immacolato e il leggero sussurro della porta che si socchiudeva. Poi, quella stessa porta si aprì di nuovo, ma non sentii nessun passo. Pensai che fosse stata una folata di vento a spalancarla.

Piccole dita si insinuarono tra i miei ricci, accarezzandoli con quella delicatezza e dolcezza che conoscevo bene. La mia presa sul cuscino lentamente si allentò, mentre sentivo il materasso abbassarsi e rialzarsi sotto i movimenti della bambina.

«Julian» la sua voce bassa e innocente mi richiamò. «Vuoi rimanere da solo?»

«No» bofonchiai timidamente. «Tu puoi rimanere, però sento che devo piangere di nuovo».

«Allora piangi» incitò una Lilith di soli sette anni e mezzo. «Lo sai che puoi piangere con me, non è una cosa sbagliata».

«Non è da femminucce, vero?»

«No» ridacchiò, e quel riso leggero alleviò subito il peso che avevo sul petto. «Hannah e Oliver non ti hanno mai detto che piangere è da femmine».

«Perché loro mi dicono che non devo piangere e basta» la corressi, alzando finalmente il viso da quel cuscino maltrattato dalla mia stretta. «Io ci provo, ma certe volte non riesco a trattenermi» con i polsini della camicia strofinai gli occhi, asciugando le lacrime.

«Con me puoi piangere, non ti dico niente» mi tranquillizzò, giocando ancora con i miei boccoli dorati.

«Tu non lo fai mai» osservai, portando gli occhi sul suo viso e perdendomi nel marrone delle sue iridi. «Non piangi spesso».

Alzò le spalle in risposta, quasi a voler dire che non sapeva nemmeno lei perché facesse tanta fatica. All'età di otto anni, piangere non dovrebbe essere così difficile. Si è ancora bambini, si sta imparando a conoscere il mondo, a entrare in contatto con i suoi lati buoni e cattivi. Ma Lilith aveva sempre faticato in un'azione così semplice, ed io ero troppo piccolo per capire quanto fosse preoccupante.

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