37- Nullity.

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Nullity: (n.) the state of nonexistence.

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Lilith.

«Vedi di non farci fare brutta figura, stupida ragazzina che non sei altro».

«Per chi mi hai preso? Un fallito come te?» sibilai a denti stretti, senza neppure rivolgergli uno sguardo.

«Cos'hai detto?» Eddy mi afferrò un braccio e lo strattonò, costringendomi a soffocare un lamento. «Ripetilo, avanti».

Le mie iridi scure scrutarono il suo volto contorto dalla rabbia, e un sorriso compiaciuto si aprì sul mio viso. Ero probabilmente l'unica persona che riusciva a farlo infuriare così tanto: sapeva che mi ero abituata ai suoi schiaffi, che ormai non mi facevano più nulla, anzi, mi spingevano a sfidarlo ancora di più, a non abbassare mai il capo. Max era soddisfatto: secondo lui, stavo diventando esattamente ciò che voleva.

«Pensi di potermi parlare in questo modo solo perché stai crescendo e non hai più tredici anni?»

«Ma come, non è questo il tipo di atteggiamento che assumete voi?» provocai. «Trattate le persone come se fossero degli aborti mancati, solo perché non vi piacciono; ecco, per me parlare con te è un po' la stessa cosa».

Non ebbi nemmeno il tempo di sorridere ampiamente e lui non perse un attimo: la sua mano si alzò per schiantarsi contro la mia guancia, ma una voce maschile e decisa lo bloccò sul posto, facendolo infuriare ancora di più.

«Edward, lasciala» ordinò con tono autorevole. «Tu vuoi proprio farti castrare da Max; sono anni che ti ripete di non sfiorarla senza il suo consenso».

«Questa ragazzina sta diventando un po' troppo impertinente» dichiarò, guardandomi con i suoi occhi rabbiosi e iniettati di sangue. «Prima o poi ci metterà nei guai».

«Capisco» sbuffò l'altro, poco interessato alle ipotesi di quello che mi teneva stretta per un braccio. «Lasciala stare prima che vada a chiamare Max».

«Tu, invece, ti stai affezionando troppo a questa puttanella. Anzi, ci tieni già troppo: hai superato il limite dal primo giorno» continuò senza staccarmi lo sguardo di dosso. «Che c'è? Cerchi di proteggerla?»

«Proteggerla?» ridacchiò, non aggiunse altro.

Eddy alla fine mollò la presa. Mi ricomposi immediatamente, strisciando i palmi delle mani sulla costosa gonna di velluto per stirarla al meglio. Raddrizzai il fiocco tra i capelli e piegai con cura il colletto ricamato della camicia candida.

Nessun adulto in quell'ammasso di lerciume mi aveva mai protetta; a nessuno di loro importava davvero dei Foster Kids. Eravamo solo giocattoli e soldatini addestrati, macchine difettose senza cuori funzionanti. E io, tra loro, ero quella perfettamente calata nel ruolo, perché avevo dimenticato cosa significasse essere umana.

Mi allontanai da Eddy e uscii dall'ufficio di quella lussuosa residenza di una ricca famiglia russa che ci ospitava, situata appena fuori San Pietroburgo. Superai l'uomo, ancora fermo sulla soglia della porta; nessuno di loro meritava le mie attenzioni, tanto meno lui. Anzi, soprattutto lui.

Tuttavia, mi seguì con passo silenzioso lungo il corridoio e, per non ascoltare la sua voce quando prese a parlarmi, mi concentrai sull'orribile carta da parati dorata e sulle cornici rosso fuoco dei quadri appesi alle pareti.

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