Ciò che io vedo in me sono contraddizioni?
Impulsi divergenti, strati di voci contrastanti che giungono da fonti ed epoche diverse, che a dir di no sembra quasi di far torto ad un genitore.
Oppure una romantica sovrapposizione di possibilità infinite in una vita finita?
Il mio intelletto, contemplando uno smisurato incastro di atomici opposti, si chiede: esiste un sistema di riferimento privilegiato per stabilire ciò che è reale, oppure è soltanto un'assiomatica scelta di un punto di vista che mi perde nel suo imbarazzo?
Se così fosse, qual è l'opzione migliore se ogni criterio di valutazione è a sua volta criticabile e mai definitivo?
Forse semplicemente quella che ci appartiene per natura e per vissuto, per cui non possiamo essere nulla di diverso da ciò che siamo, ovvero un'immagine costruita su quanto gli altri e la vita, attraverso il nostro Io, ci hanno raccontato su di noi.
Una raffigurazione talvolta dissonante, in quanto non sempre siamo ciò che sembriamo.
Dovremmo allora essere perlomeno consapevoli che si tratti di una sorta di selezione, anche se non del tutto arbitraria, che non esaurisce le possibilità del reale e la sua complessità, soprattutto in una società in cui spesso vengono a mancare delle contro-narrazioni.
Intanto il mio spirito va a spasso alla ricerca della luce in ogni anfratto dell'universo, perché forse è là che si nascondono le risposte a cui anela e che qui non trova, oppure perché è troppa l'oscurità che vede nel suo futuro.
Nel mio giardino crescono molti fiori: prendendo posizione solamente uno tra tutti non appassirà.
E porterò la bandiera di un partito, cioè di una partizione del reale.
E avrò un nemico per riconoscermi come diverso da lui.
Quando sceglierò, farò una cosa e mai più un'altra nello stesso periodo, sarò questo e non quello, ricoprirò un ruolo rinunciando a tutto ciò che avrei potuto essere.
Ciò nonostante la vita ci costringe a fare delle scelte, o le farà lei per noi, come una nave alla deriva senza timoniere.
Ho sempre provato repulsione per i piccoli e sottomessi desideri di illusoria stabilità che mi hanno inculcato; non sono fatto per i sentieri battuti, ho sempre cercato l'originalità a costo di perdermi all'orizzonte andando in panico, pur di non diventare un anonimo ingranaggio della macchina.
Non accontentarsi è il rischio che richiede la felicità e io ho sempre avuto l'ambizione di lasciare un segno, una piccola traccia indelebile di me e in parte ci sono riuscito, anche se non come avrei voluto e credo meritato.
Che poi io sia approdato definitivamente da qualche parte, ad una sorta di stabilità, quello è un altro discorso.
Perché in fondo chi non brama un po' di serenità e il poter avere una progettualità nella vita sentendosi qualcuno, anche se l'abito che veste non è il più bello che avrebbe potuto indossare, ma semplicemente quello che gli è capitato?
Che posto strano il mondo, lo disco spesso: si progettano grandi opere di ingegneria precise al millimetro e poi le nostre esistenze sono così lasciate al caso.
Ma forse sono io ad essere troppo influenzato dalla mia mentalità scientifica, la quale mi porta ad una visione troppo ingegneristica della vita, per cui la sua bellezza starebbe proprio nella sua imprevedibilità, in quell'incertezza che è apertura alle possibilità.
Cosa dovremmo fare dunque? Puntare su qualcosa di difficile che ci riesce facile, criterio per stabilire se abbiamo del talento, oppure su qualcosa che sentiamo appartenerci di più?
Intanto, prima che l'infinito finisca e che io mi ricordi di essere mortale, lasciatemi la libertà di essere tutto e niente come umida argilla nelle mani dell'artista, anche se questo mi spaventa.
La libertà di uno spirito che non vuole solidificarsi in una forma che sa di non essere la sua.Se anche lo scorrere del tempo secca l'argilla, in che indicibile creatura deforme e dunque senza scopo ti identificherai, se l'artista non avrà ancora deciso cosa è meglio fare della tua pasta?