FIOR DI PRUNO

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Nella giovane foresta

sbocciano cinque petali

del fior di pruno.

Ruotano i suoi pistilli

come il Polo Supremo,

il bianco e il nero,

cedevolezza e durezza

si alternano, si inseguono

nelle braccia d'acciaio

avvolto nel cotone

di un monaco

d'arancione vestito.

Flette il bambù il vento,

l'energia vitale

che permea l'universo.

Il respiro dalle narici

si spande fino all'ombelico,

e poi giù per le gambe

che sono radici

ancorate a Madre Terra.

Anche la solida pietra

quel pugno frantuma,

mentre l'aria viziata

come tuono dalla bocca

viene restituita al Cielo.

Tuttavia non le nocche

callose e indurite

sono a colpire,

ma quel profumo esotico

di antiche dinastie

che pure mi appartiene

e di cui ho nostalgia.

Un puro abito bianco

con bottoni al centro

e una cintura in vita;

ai piedi nere scarpe di stoffa.

Braccia e gambe omofone

dalla forza centrifuga

accompagnate fino alla

retta stoccata finale

che giunge come un ruggito.

Un uomo non è più tale:

è il salto di un leopardo,

è lo scatto di un cobra,

è il fluttuare di un drago,

è l'equilibrio di una gru,

è la zampata di una tigre.

Un uomo non è più soltanto

un uomo, ma:

è legno che arde nel fuoco

e genera la terra di metallo

su cui condensa la rugiada

che nutre quel legno

che ara il campo;

terra che contiene l'acqua

che spegne il fuoco,

la fiamma che fonde

l'ascia che il legno taglia.

In otto direzioni

si muove il monaco

che respira coi talloni:

verso il cielo,

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