Nel labirinto dei pensieri
ogni svolta è un vicolo cieco,
mentre un'ombra si allunga
coprendo ogni raggio di speranza.
Anzi, è concreta la certezza
di non avere scampo:
attende quel patibolo che uccide,
non il corpo, ma l'anima.
Una spietata angoscia tortura
con medievali strumenti:
nemmeno l'ora dell'esecuzione
è concesso sapere.
Al di fuori della gabbia dorata
i nodi vengono al pettine
come eco di una vita antalgica,
di un'esistenza disfunzionale.
Forse la si può incolpare,
di sicuro la si maledice
mentre si tenta la vana fuga
nelle profondità del silenzio,
ove il suono è ovattato, distante.
Sopraffatti in assenza di gravità
da fredde, salate e scure acque,
accelera il battito nel petto,
il cranio sputa fuori dalle orbite
gli occhi sbarrati e smarriti.
Ogni fibra dei muscoli affannati
si aggrappa inconsulta al nulla
nel dilatarsi dei secondi,
mentre nella bramosia d'ossigeno
la bocca spalancata imbarca acqua
come un veliero al naufragio.
Ma non v'è mare che sommerge,
soltanto ruota il mondo intorno
come dopo un giro in giostra.
Le viscere gridano,
le fragili gambe cedono,
più del piombo le braccia pesano.
Nell'interminabile apnea è panico.