Quando eravamo piccoli, nel cortile giocavamo e c'era un prato: il giardino dei tre alberi gemelli, due dei quali erano la porta del campionato del mondo con la coppa fatta di pongo.
Al centro un rialzo, come una piccola collinetta rotonda, costituiva, ora il centrocampo, ora il green della buca diciotto dove imbucavamo la pallina con delle piccole mazze di plastica.
Sembrava tutto più grande: i palazzi erano castelli nei quali una bellissima principessa attendeva che noi cavalieri eroicamente la salvassimo da un feroce drago che la teneva prigioniera.
I bastoni erano spade, le nostre braccia ali, dai nostri pugni uscivano raggi di luminosa energia.
Era circondato da un rio il cortile e da una siepe che lo difendevano dalle minacce dell'esterno.
Ma quando l'acqua diveniva solido asfalto, cominciavano infinite orbite di gare in bicicletta e con un gesso bianco si tracciavano strade per scintillanti macchinine e mutanti robot.
Le nostre avventure disegnammo in fumetti come i nostri cartoni preferiti, perfino il tarassaco era un guerriero a cui cucivamo le ferite, sperimentando con ago e filo da piccoli chirurghi.
Nelle fresche e profumate sere d'estate sulle panchine sotto gli ippocastani parlavamo e ridevamo di un mondo ora perduto.
Ma un dì la morte ci venne a trovare sotto la forma di un colombo: accanto al cespuglio nel giardino degli alberi gemelli dove costruimmo una capanna, noi lo seppellimmo.
Colombo di Dio,
Perché, perché sei morto?
Per colpa nostra o per colpa degli altri?
Il nostro universo magico ci sembrava eterno, tuttavia quel giorno conoscemmo la finitezza della vita.
Crescendo giocavamo sempre di meno, fino a quando non giocammo più e prendemmo strade diverse, abbandonando la dimensione del cortile.
Niente più corse in bicicletta, niente più "un, due, tre, stella!" o nascondino, basta con le adrenaliniche ripicche ai bisbetici attempati; non ci si arrampicava più sul muro di cinta del lato occidentale.
I giochi di latente malizia con le ragazze e i dispetti, si sarebbero poi trasformati in qualcos'altro.
Nulla resta più di quel mondo, nemmeno quella luce che contornava gli oggetti e li faceva brillare, che rendeva i colori più accesi, più nitidi.
Il nostro cuore si è offuscato, si è fatto grigio il nostro cielo mentre seguiamo la routine anestetizzandoci in un bar: siamo ingranaggi sostituibili di una macchina cinica, meschina e spietata.
Feriti, siamo guariti male, abituati a ciò che ci può accadere temendo il peggio, conoscendo già ciò che non è alla nostra portata e che tanto avremmo voluto e che nemmeno desideriamo più.
Una volta ci liberavamo in un pianto, invece ora algide lacrime ci rimangono incastrate dentro.
Il giardino dei tre alberi gemelli esiste ancora: ogni tanto vedo ancora le nuove leve giocarci, ma non è più la stessa cosa per questa generazione digitale, non esiste più quella fantasia creatrice di galassie.
Noi non eravamo virtuali, ma padroni dello spazio-tempo, della materia e quindi dell'energia.
Mentre nostalgico ci passo davanti in auto, la radio suona High Hopes dei Pink Floyd:
The grass was greener
The light was brighter
The taste was sweeter
The nights of wonder
With friends surrounded
The dawn mist glowing
The water flowing
The endless river
Forever and everL'erba era più verde
La luce più brillante
Il gusto più dolce
Le notti fantastiche
Circondati da amici
La rugiada lucente dell'alba
L'acqua corrente
Il fiume senza fine
EternamenteEra proprio così!
Ma perché e quando quella luce si è infine spenta, perché non è più come prima, perché ci sentiamo così "diversi"?
Io voglio una risposta!
E mentre mi sembra di dover risolvere il mistero della vita, mi viene in mente la parola meraviglia.
Diventare adulti significa conoscere già il percettibile: non c'è più stupore nello scoprire il mondo sensibile.
Si possono fare scoperte di altro genere, intellettuali ad esempio: ma non è come esserne immersi, piuttosto come spiegare i colori ad un cieco nel loro astrattismo.
Ho avuto l'opportunità di "rinascere" una volta nella mia vita e di riscoprire il mondo con un nuovo me, cosa che non capita a tutti: ed ecco che ho visto a tratti quel chiarore per molte stagioni.
Quando rinasciamo, ci rinnoviamo, ci rigeneriamo, quando ci innamoriamo e risorgiamo nel brillio degli occhi della persona amata, un po' di quella luce torna a bagnarci; si desta un poco di quell'antica magia.
E poi chissà, quando il sole si spegnerà, il nostro mondo imploderà e arriveranno le tenebre, dopo che i nostri occhi si chiuderanno e il respiro abbandonerà questo secco sarcofago vuoto, forse ci risveglieremo all'alba con un sorriso di eterna meraviglia e l'animo leggero come una piuma in una felicità che non ci verrà mai a noia, nel giardino dei tre alberi gemelli.