NELLA VERMIGLIA DITE

76 16 10
                                    

Quanto pesano queste braccia,

magre come rami morenti,

che a stento reggono una penna

sterile di parole consunte

che sul foglio lenta si muove.

E queste povere gambe,

nella fatica di portare

un'anima cementificata

attraverso le sabbie mobili.

Mancano le forze:

arduo è insorgere

se la mente è in frantumi,

se la fiamma dello spirito

è sul punto di spegnersi.

I versi erano medicina

che il dolore congelava,

una ferita sempre aperta

che il male infetto spurgava:

li ho barattati per un mondo

che non sa incorniciarmi

e odora di sconfitta,

un mare di lacrime in cui

come àncora affondo

verso un limbo senza fine.

Rimembro quando vidi

una cupola d'oro nella notte

rivestire i miei luoghi

come una divina promessa:

il dono mi era già stato fatto

e forse era soltanto

la mia luce ad illuminarli.

Ricordi lontani di un'altra vita

che pulsava dentro di me.

Esplode una stella nel cielo:

nella vermiglia Dite,

nel suo paludoso fetore,

tra la violenta ignoranza

dei suoi diavoli condannati,

io non trovo incastro.

RIFLESSIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora