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Rimasi seduta a terra, fissando il vassoio senza davvero vederlo. Il cibo davanti a me sembrava insignificante rispetto al nodo che mi stringeva lo stomaco.

Thomas mi aveva lasciata qui.

Mi aveva guardata negli occhi, aveva sentito la mia supplica... e mi aveva comunque voltato le spalle.

Il dolore nel petto si fece insopportabile, ma lo ingoiai. Non avevo tempo per piangere. Non potevo permettermi di crollare.

Mi alzai lentamente, avvicinandomi alla porta. Provai a spingerla, ma ovviamente era chiusa a chiave. Percorsi la stanza in lungo e in largo, cercando una via d'uscita, un punto debole, qualcosa che potessi sfruttare.

Ma non c'era nulla.

Mi lasciai cadere di nuovo sul pavimento, la schiena contro il muro. Non sapevo per quanto tempo rimasi lì, immersa nel silenzio, con il respiro pesante e il cuore in tumulto.

Poi sentii dei passi.

Mi raddrizzai all'istante.

La serratura scattò e la porta si aprì. Non era Thomas.

Era mio padre.

Voldemort entrò nella stanza con la solita grazia inquietante, il suo sguardo gelido fisso su di me. Sentii un brivido lungo la schiena, ma mi costrinsi a restare immobile, anche se dentro di me tutto gridava di scappare.

Si fermò davanti a me, le mani incrociate dietro la schiena. "Spero che tu abbia riflettuto, Megan."

Non risposi.

Lui inclinò appena la testa, studiandomi come si studia un esperimento interessante. "Thomas mi ha riferito della tua... insistenza nel cercare aiuto."

Il tradimento mi bruciò più della paura. Thomas gli aveva detto tutto?

"Non ho bisogno di aiuto," dissi a denti stretti, sollevando il mento.

Un sorriso sottile incurvò le sue labbra sottili. "Davvero?" Fece un passo avanti e mi afferrò il mento con due dita, obbligandomi a guardarlo negli occhi. "Eppure continui a comportarti come una bambina spaventata. Ti ho dato potere, possibilità... e tu cosa fai? Piagnucoli come un'orfana sperduta."

Il mio petto si sollevò di scatto. Quella parola-"orfana"-fu come un coltello.

Voldemort vide il mio turbamento e il suo sorriso si allargò. "Ti infastidisce? Ti senti ancora legata a loro? A chi ti ha nascosto, a chi ti ha mentito?"

Strinsi i pugni, la rabbia ribolliva nel mio stomaco. "Meglio loro di te."

Un silenzio gelido riempì la stanza.

Poi sentii la stretta sul mio mento farsi più forte.

I suoi occhi rossi brillarono di pericolosa intensità. "Dovresti stare attenta a quello che dici, figlia mia."

Lo disprezzavo. Ma soprattutto, lo temevo.

E lui lo sapeva.

Mi costrinsi a non distogliere lo sguardo, anche se il suo tocco mi faceva rabbrividire. La sua stretta era ferma, non dolorosa, ma bastava per ricordarmi che non avevo via di scampo.

Voldemort mi scrutò con attenzione, come se stesse cercando qualcosa dentro di me. Forse una debolezza, forse una reazione che gli avrebbe dato soddisfazione.

Poi, con un sospiro teatrale, mi lasciò andare.

"Sei testarda," commentò, come se fosse una qualità irritante ma interessante allo stesso tempo.

Mi sfregai il mento, osservandolo con diffidenza. "E tu sei un mostro."

Voldemort si limitò a sorridere. "I mostri vincono sempre, Megan." Fece qualche passo indietro, incrociando le mani dietro la schiena. "Ma non sono qui per discutere di chi ha ragione e chi ha torto. Sei mia figlia, e come tale, hai un destino da compiere."

Non dissi nulla, ma il mio respiro si fece più rapido.

"Stanotte verrai con me," annunciò, e il mio stomaco si strinse. "È ora che tu veda con i tuoi occhi il potere che ci appartiene."

Deglutii. "E se rifiuto?"

Un sorriso sottile, pericoloso. "Non rifiuterai."

La porta si spalancò all'improvviso, e due Mangiamorte entrarono. Non li riconobbi subito, ma quando uno si avvicinò, notai i capelli biondo chiaro e gli occhi freddi di Lucius Malfoy.

"Preparate mia figlia per questa sera," ordinò Voldemort con calma. "Deve essere all'altezza del suo nome."

Lucius annuì, poi mi rivolse uno sguardo privo di emozioni. "Vieni."

Sentii il cuore martellarmi nel petto. Sapevo che non avevo scelta. Ma dentro di me, qualcosa si ribellava all'idea di obbedire così facilmente.

Voldemort sembrava aver letto il mio pensiero, perché prima che uscissi, disse con voce melliflua:

"Non dimenticare, Megan. La paura è un'arma. Ma solo se sei tu a brandirla."

Mi sentivo soffocare. La paura mi serrava la gola, ma non volevo dargliela vinta.

Lucius Malfoy non disse una parola mentre mi conduceva lungo i corridoi. Il suo passo era sicuro, il mio incerto. Ogni fibra del mio corpo voleva scappare, ma sapevo che non sarei andata lontano.

Attraversammo un lungo corridoio buio, illuminato solo da torce tremolanti. Arrivammo davanti a una porta massiccia, e Lucius si fermò, senza neanche voltarsi verso di me.

"Stai dritta, non abbassare lo sguardo e non mostrare debolezza."

Non capii se fosse un consiglio o una minaccia.

La porta si aprì con un cigolio.

Dentro, la stanza era ampia, con un lungo tavolo al centro. Era già occupata da diverse persone, tutte vestite di nero. I Mangiamorte.

Mi si gelò il sangue nelle vene quando vidi Voldemort in piedi alla testa del tavolo. Il suo sguardo si posò su di me come un peso soffocante.

"Avvicinati, Megan," disse, con la sua solita calma inquietante.

Feci un passo dentro. La stanza sembrava restringersi attorno a me. Sentivo gli occhi dei Mangiamorte su di me, alcuni curiosi, altri scettici.

Voldemort mi indicò un posto accanto a lui. "Siediti."

Non volevo. Ma sapevo che dire di no non era un'opzione. Così feci quello che mi chiedeva.

Lucius si posizionò dietro di me, come se fosse lì per assicurarsi che non facessi sciocchezze.

Voldemort prese la parola. "Stanotte, mia figlia vedrà con i suoi occhi la grandezza della nostra causa."

Un mormorio percorse la stanza.

Il mio cuore batteva forte. Cosa voleva farmi vedere? E, soprattutto, cosa voleva farmi fare?

L'erede di Merlino Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora