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Evitai il suo sguardo poggiandolo sul piatto e iniziai a punzecchiare il cibo. Ad un tratto mi sentivo lo stomaco chiuso in un pugno e non potevo fare a meno di rabbrividire, per poi iniziare a riempirmi la mente di domande, paranoie...paure.

Perché? Perché ora che mi stavo inserendo? Che avevo trovato il mio posto nel branco? Perché doveva arrivare dal nulla e rovinare tutto quello che stavo riuscendo finalmente a costruire? pensai, mentre la disperazione si alzava come un'ombra sempre più grande pronta a inghiottirmi. Se avessi dovuto descrivere la mia storia, l'avrei definita come un grande buco nero di sfiga atomico da cui è improbabile allontanarsi più di tanto.

Presi respiri profondi sempre più frequenti, il panico mi stava assalendo, serrandomi la gola e facendomi tremare le mani; stringevo in maniera spasmodica le posate, cercando di concentrarmi su qualsiasi cosa non fosse l'attacco di panico che stava per assalirmi.

Mi sentii osservata; sollevai gli occhi di scatto verso quella presenza che non smetteva di fissarmi in maniera insistente.

Un sorriso piegava le sue labbra morbide e piene, gli occhi luccicavano divertiti: notando che aveva catturato la mia attenzione alzò il calice in mano e piegò il capo brindando alla mia salute.

Snudai le zanne e sibilai.

Si stava prendendo gioco di me e delle mie emozioni; mi morsi forte il labbro fino a farlo sanguinare.

Insopportabile. Insopportabile!

Si sta divertendo, giosce della mia paura  capii,cercando di evitare una trasformazione parziale da parte della mia lupa che si ribellava e ringhiava per uscire fuori.

Il suo divertimento fu la goccia che fece trabboccare il vaso, con un impeto di rabbia gettai le posate contro il tavolo, creando un rumore stridente quando si scontrarono contro i piatti; scattai alzandomi, facendo stridere a sua volta la sedia, che era un'ostacolo alla mia fuga da quella stanza opprimente.

Come potevano due occhi schiacciarti? Farti sentire insignificante e allo stesso tempo prendersi gioco di te o ignorarti come fossi niente?

Le pupille mi si allargarono mentre la mente cercava di riportare a galla ricordi che dovevano rimanere assopiti nel profondo, che  cercavo di sopprime da tempo.

Un mostro, sei solo un mostro. Tu non sei mia figlia sibilò la donna Sparisci! continuò urlando.

Mi presi il volto tra le mani gemendo sottovoce per il dolore, strizzando gli occhi per trattenere delle lacrime silenziose.

Quel luogo e Vegah riportavano in superfice tutto ciò che avevo sempre voluto dimenticare, per questo lo odiai, profondamente e intensamente.

Strinsi le mani in due pugni e sotto gli occhi incuriositi dei commensali mi avviai a grandi passi da dove ero venuta, cercando quel rifugio nel buio che prima avevo tanto rifiutato.

Soppressi un ansito di dolore mentre la testa pulsava sempre più forte e quasi corsi per arrivare il prima possibile in quello che stava diventando il mio nascondiglio.

Continuai a correre, scappando da quella nuova realtà che mi si era parata davanti mandando all'aria tutto il resto, nascondendomi dal passato.

Arivvata in camera mi sbattei la porta dietro le spalle violentemente e scivolai lungo il pavimento accovacciandomi. Portai le gambe al petto e avvolsi le braccia intorno ad esse in un gesto di protezione.

Mi presi la testa tra le mani, inspirai ed espirai più volte prima di riuscire a trovare un pizzico di tranquillità che mi permettesse di pensare lucidamente; mi bastava distaccarmi -per quanto possibile- dalla situazione generale, pensando a sopravvivere minuto per minuto, ora per ora, giorno per giorno evitando di pensare a tutto insieme.

The red thread. The Alpha's PrisonerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora