On my mind

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Veniva, entrava, si prendeva quello che voleva e poi andava via. Mi rompeva giorno dopo giorno, con le sue parole, la sua presunzione e l'effetto che aveva su di me; mi faceva sentire un giocattolo, con cui si sarebbe divertito a giocare fino a romperlo totalmente, rendendolo inutile.

Mi faceva sentire inutile, umiliata come ormai non succedeva da tanto, solo lui aveva la capacità di riportarmi a quella che ero un tempo. Fragile e debole davanti al destino, davanti a me stessa.

Era come se fossi a pochi passi dal lanciarmi da un dirupo e lui fosse colui che reggeva la mia vita tra le sue mani; con una semplice stretta mi avrebbe potuta spingere giù o salvare. Salvarmi era l'ultima cosa volesse, il suo piacere stava nel farmi affogare nelle tenebre, nel rendermi impraticabile il cammino che mi ero costruita per andare avanti in un modo o nell'altro. Lui stava lì a impedirmi di procedere, costringendomi a tornare indietro, contro le mie paure e le mie insicurezze che avevo cercato di ripudiare creandomi una maschera di forza che in realtà non mi apparteneva.

Lui sembrava sapere ciò che ero senza bisogno delle mie parole, mi rendeva nuda d'innanzi al suo sguardo, avido di avermi per me sé, sottomettendomi al suo volere in qualsiasi momento.

Alzai lo sguardo piano, con forza asciugai le lacrime che avevano segnato un sentiero lungo le mie guance e mi alzai in piedi sostenendomi al muro. Andai in bagno a sciacquarmi il volto con l'acqua fresca, sperando che il contatto con il freddo riuscisse a svegliarmi da quella situazione, portandomi di nuovo a reagire.

Sollevai il volto verso lo specchio, osservando con sguardo contrariato le occhiaie che mi appesantivano lo sguardo e gli occhi leggermente gonfi per il pianto; poggiai le mani contro lo specchio, disprezzandomi davanti a quella che doveva essere la mia figura che sembrava star per crollare.

Presi un respiro profondo stringendo i denti "Ora ti calmi, ritorni ad avere le palle e vai a quella cazzo di cena" ordinai al mio riflesso, a me stessa.

Se ti mostri spaventata davanti all'uomo nero, viene per trascinarti via con sé...

Una fitta alla testa mi portò a chiudere gli occhi con forza, quasi piegandomi fino a toccare il lavandino con la fronte, il mio corpo veniva scosso da tremori profondi mentre la mia mente pareva aprire la porta verso ricordi lontani...

"Tu non sei mia figlia" disse la voce colma di disgusto, con gli occhi ricolmi di un odio che aveva radici profondo.

"Ma mamma..." calde lacrime non smettevano di scorrere, mentre cercavo di rientrare in casa invano per riabbracciare quella che era la donna che mi aveva dato la vita, chiedendo perdono di qualcosa che non sapevo controllare.

"Io non sono tua madre" urlò, mentre la pazzia pareva luccicare nel suo sguardo "Tu sei solo un abominio" pronunciò quelle parole ricolme di disprezzo "Tu non sei mia figlia" ripeté con convinzione, spingendomi con forza fuori da quella che fino a qualche giorno prima era il mio rifugio da tutto ciò che mi ferisse. La mia casa.

Per la spinta scivolai e caddi contro il manto innevato, così morbido e freddo contro la mia pelle .

"Sparisci da qui mostro, vattene via" sibilò una voce diversa dalla prima.

Sollevai lo sguardo verso gli occhi di quello che doveva essere mio padre.

Aveva posto la mamma dietro di sé quasi a volerla proteggere...

Da me.

Spalancai lo sguardo e sollevandomi a stento iniziai a correre via, incespicando più volte, per cercare di allontanarmi da tutto quell'odio che mi voleva soffocare e una sola domanda in testa.

The red thread. The Alpha's PrisonerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora