Capitolo 22

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"Bambina..?"
Disse Dylan scontrandosi con i miei occhi azzurri.
Continuò.
"Ora devo andare, ci sentiamo bambina.." Disse lasciando un lieve bacio sulla mia guancia.
Annuii e gli sorrisi.
Si voltò un'ultima volta prima di andare via e, con il labiale, disse "ti amo".
Ogni volta che me lo diceva il mio cuore perdeva un battito per poi riprendere velocemente, lui mi faceva provare strane sensazioni.
Entrai in casa e trovai, mia nonna, seduta sul divano con gli occhi chiusi.
"Sta dormendo" dissi tra me e me.
Mi avvicinai a lei e le diedi un bacio sulla fronte, era fredda come non mai.
"Ora che vedo meglio è pallida..no!" Dissi tra me e me.
"Nonna, svegliati! Svegliati Rosa! Apri i tuoi occhi celesti! Rispondi nonna!" Dissi in un pianto.
Non li aprii.
Rimase ferma, immobile, come una statua.
Avevo perso tutti, dal primo all'ultimo.
La presi tra le mie braccia e la poggiai sulle mie gambe.
Le accarezzai i capelli bianchi e la cullai, nel mentre chiudevo gli occhi e facevo scorrere delle lacrime.
"N-nonna.." Dissi piangendo disperata.
Era tutta pallida, immobile, non potevo vederla così: non lo sopportavo.
La adagiai, sdraiandola, sul divano.
Le accarezzai dolcemente la fronte e lasciai su di essa un bacio casto.
"Ti amo da morire Rosa.." Dissi emettendo un singhiozzo.
Lasciai il salotto per poi andare in camera mia, c'era il cellulare.
Chi dovevo contattare? L'ambulanza? Amelia? Dylan? Robert? James? Nessuno e piangere come una disperata?
No, non dovevo piangere ancora, troppe lacrime in poco tempo, ne avevo abbastanza.
Guardai i contatti.
Avevo deciso di chiamarli tutti.
Per primo chiamai Dylan.
Lui era l'amore della mia vita, la mia triste vita.
Chiamata
"Ciao bambina, ti manco di già?" Disse con una lieve risata.
"Dylan, vieni qui..ho bisogno di te.." Piansi ancora più forte, non ero così coraggiosa da non soffrire.
"Yvonne, che succede?" Chiese preoccupato.
"Dio Dylan...mia nonna è.." Dissi spezzata dal pianto.
"C-come? Arrivo subito, stai tranquilla" disse preoccupato.
Riattaccò la chiamata e mi burattai sul letto.
Sfogai tutta la mia rabbia nel cuscino, immergendomi in esso con un grande urlo disperato.
Alzai lo sguardo e vidi quella fottutisima lametta.
Era sempre lì sul lavandino che aspettava la mia pelle, volevo morire in quel momento.
Mi alzai piena di tristezza e mi trasportai nel bagno.
Presi frettolosamente la lametta e non tenni conto dove incidevo la mia pelle.
Era tutto oscurato dai sentimenti che invadevano il mio corpo.
Non premetti più e mi guardai intorno sbigottita.
Tutto girava e delle chiazze nere invadevano la mia vista.
Mi sentivo barcollante, ma non sentivo dolore.
Non so il perché, ma era come se qualcuno stesse attutendo il dolore fisico con un dolore emotivo.
Poi buio. Un infinito è spaventoso buio.
Pensai a tutto: alla mamma, a papà, alla nonna.
Era tutta colpa mia, tutta.
Mi odiavo per questo, come non mai.
Mi sentii senza alcun dolore: nè fisico nè emotivo.
Mi sentivo bene dopo tanto tempo.
Un lungo e indeterminato tempo.

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