3 - Sparizioni

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Fine delle lezioni. Dopo un'ora di storia, due di Biologia, una di Algebra e due di Geografia, credevo di non riuscire ad arrivare alla fine della giornata.

Con i miei ero sempre stato d'accordo che, dopo la fine delle lezioni, mangiavo qualcosa lì e mi mettessi a studiare a scuola. Preferivo studiare lì che andare a casa a fare questo. Tra Annie e la sua musica di bande giovanili dai temi mielosi, a mio fratello e i suoi dannati videogiochi, non riuscivo mai a studiare.

Come al solito, andai verso la mensa, presi un paio di panini, un paio di bottigliette di the, quindi mi diressi verso l'esterno, su una panchina.

"Come mai sei qui? Non vai a casa?"

Era Jeena. "Non vado mai a casa... Preferisco studiare all'aperto, e lontano dai miei fratelli".

"Che ne dici se ti invito a casa mia? Oggi stesso, mangi da me e studiamo assieme".

Oh mamma. Che proposta. Non solo ci eravamo conosciuti da meno di sei ore, ma già aveva fatto la sua mossa. Che cosa dire? Che cosa fare? Cosa sarebbe successo se qualcuno avesse saputo di questa situazione? Non mi accorsi che mi aveva preso per mano e mi stava portando a casa sua. Per una volta, me ne infischiai altamente di quello che avrebbero detto gli altri.

In appena dieci minuti, arrivammo a casa sua. Come entrai, un lieve profumo di lavanda mi investì in pieno, e rimasi colpito da com'era arredata la casa. Jeena era la fotocopia esatta di sua madre, Jeannette. Suo padre aveva un aspetto fiero e possente, ma traspariva un animo buono dai suoi occhi azzurri.

Mentre eravamo a tavola, suo padre, Jason, disse: "Oggi al primo giorno di lavoro, mi hanno affiancato al signor Strauss. Una persona squisita e amichevole". Per un attimo rimasi sorpreso.

"Quindi ha conosciuto mio padre, John Strauss?" chiesi.

"Allora esistono le coincidenze, vero Albert?" rispose Jeena, ridendo.

Finito di mangiare, ci mettemmo sul divano, con tutti i libri e i quaderni delle varie materie.

Prima che me ne rendessi conto, erano già le sette di sera, quindi salutai la famiglia che mi aveva ospitato, per dirigermi verso casa. Non avevo voglia di tornarvi, visto che ero stato bene a casa di qualcuno. Non mi era mai capitato.

Arrivato al cancelletto di casa, vidi che la macchina di Nick era parcheggiata male. Brutto segno. Vuoi vedere che...? Mi fiondai alla porta di casa, e una volta aperta, i miei sospetti furono tristemente confermati. Nick aveva comprato il kit completo di D.S.P., e mio fratello, come un bimbo, stava lì a maneggiare il suo nuovo acquisto, guardandomi male, per giunta. Sbuffo, prendo la cartella, e salgo in camera, giusto il tempo di appoggiare la mia cartella sul letto, quando sento mio fratello dire: "Vieni Albert, aiutami con questi aggeggi!"

Cosa gli era preso? Seccato, scesi le scale. Vidi che aveva tirato fuori dell'imballaggio una stazione, un paio di micro dischetti, un visore, due paia di guanti e due cavigliere. Che diamine di gioco aveva preso mio fratello? Senza dire niente, presi il manuale di istruzioni, stranamente molto leggero. C'erano solo quattro pagine. Lessi come andavano indossati i vari equipaggiamenti, e una scritta, che mi inquietò e mi lasciò perplesso. La scritta recitava:

Grazie per aver acquistato D.S.P. .
Se ti chiedi cosa significhi l'acronimo di questo gioco, dovrai scoprirlo da solo. Se superi le due ore di esposizione, non ne potrai fare a meno. Lo scopo del gioco? Resistere. Sopravvivere. E arrivare alla fine del gioco. Ne sarai capace?

Queste parole mi fecero spaventare. Era troppo losco, perfino per me. Mio fratello mi prese dalle mani il foglio. Lesse il messaggio, per poi accartocciarlo e buttarlo lontano. "Che idiozia!" disse mio fratello, per poi aggiungere: "Io sto tranquillamente anche cinque ore senza accusare danni".

Lo lasciai con il suo nuovo giochino. Pronosticai che se ne sarebbe liberato tra un paio di giorni. Mi diressi verso la cucina, mangiando qualcosa al volo, per poi dirigermi verso la camera. Ero seccato della routine di questa vita piatta. Accarezzai Munch, il mio Jack Russell, e gli diedi da mangiare, prima di dirigermi nuovamente in camera mia.

Come mi appoggiai sul letto, un colpo di sonno mi fece desistere dallo studiare. Lasciai tutto com'era.

Il giorno dopo mi svegliai al solito orario. C'era troppo silenzio. Nessuna canzone da adolescente. Nessun rumore elettronico. Niente. Era la prima volta, da quando riesco a ricordare, a sentire un silenzio così profondo. Scesi le scale, nella speranza che ci fosse qualcuno. Niente. I piatti con la colazione erano sul tavolo, ma della mia famiglia niente. Pensai che avevano avuto un contrattempo, quindi, senza badarci più di tanto, mangiai i waffle ancora caldi, presi un mazzo di chiavi, cinque dollari dai miei risparmi, quindi uscii.

Arrivò Jimmy e il suo autobus. Come salgo a bordo, resto interdetto. Più di tre quarti dei ragazzi non c'era. Eravamo a malapena una quindicina. Pensai a un qualche virus esploso da qui a qualche giorno. Mi sentivo bene, quindi non me ne curai più di tanto. Salì anche Jeena da casa sua. Stranamente non mi rivolse la parola, né tantomeno mi guardò.

Cominciai a presagire che qualcosa di oscuro stava accadendo, e altre prove si presentarono durante la giornata. Arrivato a scuola, vidi che i ragazzi presenti a scuola erano meno di 150. Dei professori ne erano spariti più della metà. Non riuscimmo a fare lezione, fino a che, dall'interfono della scuola, ci dissero di tornare a casa fino a nuova comunicazione da parte della stessa scuola. Jeena era rabbuiata, e appena provai a parlarle, si mise a piangere. Mi confessò che i suoi genitori, dopo che ero andato via da casa loro, avevano iniziato a litigare. Non me ne voleva parlare, ma la tristezza gli aveva fatto uscire tutta la verità. E il peggio fu quello che disse dopo. I suoi non erano a casa la mattina. Era la stessa cosa successa a casa mia.

Jeena mi chiese: "Posso chiederti se ci scambiamo il numero di telefono?"

Appena tirai fuori il mio apparecchio, si mise a ridere. Non aveva mai visto un cellulare normale, dato che tutti, ma proprio tutti, avevano un ExPhone. Scambiati i numeri, ognuno se ne andò per casa sua.

La prima cosa che vidi, una volta varcata la soglia di casa era il videogioco di Nick. Possibile che quell'idiota di mio fratello avesse lasciato avviato il gioco dalla sera prima fino alle 11 di oggi? Aspettai fino alle due del pomeriggio, ma della mia famiglia nessuna traccia. Chiamai Munch, ma nemmeno lui rispose. Questa situazione cominciava a darmi sui nervi.

Accesi la televisione, nella speranza di potermi distrarre. Non ci potevo credere... San Antonio, con il suo milione e mezzo di abitanti, ridotto a poco più di centomila abitanti. E nel mondo stava accadendo la stessa cosa. Parigi, Monaco, Roma, Dubai, fino ad arrivare a Tokio e Shangai. La popolazione era stata drasticamente ridotta a meno di tre miliardi.

Che diamine stava succedendo?

D.S.P. (Progetto sospeso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora