54 - In viaggio (Parte 2)

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Demetra's POV

Ore 6:20 a.m., 28 giugno 2023.

Vengo svegliata da Annemarie, la cameriera. Non avevo voglia di alzarmi, ma con il suo fare, e con l'accento francese che la contraddistingueva, andò ad aprire le tende.

"Signorina, non l'avrei svegliata se non fosse che oggi è un giorno speciale".

Imprecai mentalmente di essermi dimenticata di oggi. Ci sarebbe stata la premiazione ufficiale da parte del presidente americano, e io appartenevo alla leggendaria squadra che aveva salvato l'umanità dalla trappola infernale conosciuta come D.S.P..

Fortunatamente, altre due cameriere entrarono nella mia stanza, mettendomi pronti tutti i vestiti nelle valigie. Avevo ricevuto da un numero privato, risultato poi essere Acid, o Lionel, o qualunque fosse il suo nome, che dovevo portare poca roba ed esser pronta per le 6.55 esatte fuori dal cancello della villa. Lo avrei sgridato come meritava, se non fosse che era stato un membro del team. Mi diedi qualche pizzicotto, ricordando a me stessa di non dover agire così. Ma i miei pensieri si erano fermati dal giorno in cui quel tamarro di Riccardo mi aveva baciato, e senza preavviso. Sentii ridere una delle cameriere, e probabilmente risero per il rossore che aveva investito il mio volto. Mi girai e prontamente, una volta fatto il gesto di andare via alla servitù, mi diressi nel mio bagno personale.

Necessitavo di una doccia. Volevo dimostrare di essere presentabile sotto tutti i punti di vista. Mi guardai allo specchio, per iniziare a piangere a dirotto. Certo, erano passate tre settimane da quell'incubo, ma ogni volta che vedevo il mio volto, il mio vero aspetto, non riuscivo a non cedere alle lacrime. Sotto sotto, sentivo di esser diventata una debole. Mi soffermai sui miei capelli, corvini, con qualche riflesso ramato, lunghi fino alle spalle, per passare alle pelle, bianca come la neve, fino a concentrarmi sui miei occhi color ghiaccio, tipici della mia famiglia. Mio nonno si trasferì in America nel lontano 1988, ed era per questo che vivevo qui, lasciandosi alle spalle la fredda e gelida Siberia per stabilirsi in Texas.

Dopo venti minuti abbondanti, e altri dieci per vestirmi, ero pronta.

Erano le 6:50, e tra poco meno di cinque minuti sarebbe arrivato Lionel a prendermi. Scesi le scale a chiocciola, arrivando nel salone principale. Un tempo andavo fiera del lusso in cui vivevo. Ma ora, tale lusso mi faceva star male. Troppe sensazioni contrastanti facevano a pugni nella mia testa e nel mio cuore.

Arrivai giusto in tempo per vedere mio padre, Nikolai, leggere il giornale, mentre sorseggiava una tazza di caffè. Alle sue spalle, mia madre Leya, che si dilettava nella cucina. Benché fosse aristocratica, non aveva mai permesso a nessuno di cucinare, nemmeno a cuochi più famosi. Voleva essere lei quella che sfamasse la famiglia. Tuttavia, i nervi che mi facevano venire per i continui battibecchi e per l'atmosfera fredda e cupa non erano passati, anzi. Per questo, quando li incontrai alla decima casa, avevo intenzione di fargliela pagare cara per il male che avevano, anche se involontariamente, provocato nei miei confronti.

Invece, nel momento in cui entrai nel salone, mio padre appoggiò la tazza sul tavolino, e abbandonò il giornale, per avvicinarsi a grandi passi a me, mentre vidi mia madre che lasciò tutto in sospeso per intercettare mio padre. Tenni gli occhi bassi, tanto sapevo che mi avrebbero ripreso, e magari per un motivo stupido come quello di essermi alzata tardi.

Inaspettatamente, mi sentii stringere. Mio padre, così freddo e duro, come un vero russo, mi stava abbracciando, e anche mia madre fece lo stesso, abbracciando tutti e due. Ero combattuta: rispondere all'abbraccio o no? Non feci nemmeno a tempo di soppesare la cosa che, come una risposta del mio cuore a lungo inascoltato e taciuto, abbracciai anch'io la mia famiglia. C'era silenzio, ma a me piaceva. Nessuno di noi tre disse qualcosa, ma a tutti e tre andava benissimo così.

D.S.P. (Progetto sospeso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora