Capitolo VII

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Ore 22.00 – Tula, Russia

Dimitri fermò lentamente la BMW i8 nel parcheggio affollato di auto lussuose, i fari a led che illuminavano di luce bianca le fiancate dei veicoli. Vide il Nissan Pathfinder nero di Emilian avanzare dietro di lui, i vetri oscurati che nascondevano Ivan e Radim alla vista.

Parcheggiò proprio davanti all'ingresso, in uno spazio lasciato libero esclusivamente per lui, e controllato a vista da un russo grosso e dalla folta barba nera. Sarebbe stato un gesto di cortesia nei confronti della Lince, se lui non avesse saputo che dietro c'era solo il desiderio di provocarlo. Spense il motore ibrido dell'auto, mentre l'abitacolo piombava nel buio con un sibilo, e osservò il tizio che era stato messo a fargli da parcheggiatore: alto, grosso e probabilmente molto stupido. Infilò il cellulare in tasca e scese, osservandolo con distacco, mentre sistemava la pistola sotto la giacca, per fargli intendere che era armato esattamente come tutti loro. Il bestione gli fece un cenno di saluto rispettoso, o così parve, e Dimitri avanzò verso il locale, i fari a led della BMW che per alcuni secondi continuarono a illuminare la strada, prima di spegnersi da soli.

Attese qualche secondo, prima che Emilian, Ivan e Radim lo raggiungessero davanti alla porta di ingresso dello Zima, un grande pub di lusso, conosciuto in città per le belle ragazze in vestiti succinti che servivano da bere e per i prezzi buoni della droga, oltre che per la tolleranza della polizia nei suoi confronti. Da fuori, i vetri blu erano illuminati dalla luce interna, che gettava bagliori cangianti sull'asfalto freddo e buio dell'esterno.

Dimitri fece un cenno ai tre cugini, ed entrò per primo, l'aria fumosa del locale che lo investì e gli fece storcere il naso. Non era particolarmente affollato, ma i divani di pelle nera erano tutti occupati, e le cameriere vestite di blu giravano tra i tavoli con grossi vassoi pieni di bicchieri e bottiglie. Erano attesi, e qualcuno gettò dalla loro parte un'occhiata incuriosita.

Una delle cameriere, una ragazza alta dai capelli scuri, venne loro incontro, sorridente. Stava per chiedere loro se volevano un tavolo, ma Dimitri la precedette.

<< Sono Dimitri Goryalef >> si presentò solamente.

La ragazza annuì e piegò il capo in un cenno rispettoso, prima di fare segno di seguirla. Emilian gli lanciò un'occhiata contrariata: aveva sempre insistito sul fatto che dovesse presentarsi come "Lince", quando andava in giro, ma Dimitri non aveva intenzione di farlo. Lui era prima Dimitri Goryalef, poi la Lince, e comunque aveva appena dimostrato che il suo nome di battesimo bastava.

Raggiunsero il retro del locale, in un corridoio dove si aprivano diverse porte di legno scuro, e dove la luce era più soffusa. La ragazza li condusse a quella in fondo, poi bussò.

Edgar Matveev sedeva su una poltrona di pelle rossiccia, avvolto dal fumo di sigari russi e con la fronte rugosa imperlata di sudore. Aveva quarantacinque anni, i capelli ancora neri e gli occhi piccoli e sfuggenti; però era grosso, con le mani come badili e le dita strizzate in due anelli d'oro massiccio. Con lui, quattro uomini dall'aria selvaggia, barbuti e piuttosto minacciosi. Nei loro occhi passò una scintilla, forse di paura o forse di rispetto, quando lo videro entrare. Non misero mano alle armi infilate nella cintura, perché sapevano che sarebbe stato un segno di poco rispetto e soprattutto di minaccia che Dimitri non avrebbe tollerato.

Vicino alla finestra, in piedi, c'era un ragazzo dall'aria sfuggente, robusto e con i capelli cortissimi, quasi rasati a zero; gli occhi, scuri e viscidi, erano identici a quelli di suo padre. Milad Buinov.

<< Benvenuto, Lince >> disse Matveev, alzandosi in piedi e venendogli incontro per stringerli la mano, << Non ti aspettavamo così presto... Ma forse dimenticavamo che sei anche un pilota clandestino >>.

Scacco alla ReginaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora