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NATALIE'S POV

Dylan era ormai fuori da ore.
Non una chiamata da parte sua.
Nemmeno un singolo messaggio.

Iniziavo a preoccuparmi.
Era per caso successo qualcosa?
O era stata una semplice scusa per allontanarsi da me?

Ben come pensavo mi aveva chiesto di lui ed io non ero riuscita a trovare una scusa plausibile da dire ad un bambino di quasi quattro anni.
Ero ridicola.

Ad un certo punto sentii il cellulare squillare.

Era Dylan.

-Pronto?- risposi quasi titubante.

-Ciao Natalie. Sono io- rispose Dylan con quella voce che solo lui possedeva.

-Hey ciao. Tutto bene?- gli domandai per essere veramente sicura che non fosse successo nulla di male...almeno tra noi due.

-Si, tranquilla. Ho avuto un problema al locale- affermò un po' irrequieto.

-Che tipo di problema?- gli domandai leggermente preoccupata.

-Due uomini hanno cercato di entrare forzando la porta sul retro- mi spiegò.

-Oddio. E sono riusciti ad entrare alla fine?- cercai di informarmi meglio sull'accaduto.

-Per fortuna no. Un ragazzo che stava passando in quel momento ha visto la scena e mi ha chiamato. Non hai idea di quanto sia arrabbiato, vorrei uccidere qualcuno-

-Va bene, calmati. Sto arrivando...conosco io un modo per farti calmare- mi ritrovai a dire senza neanche pensare per un momento con un minimo di sano cervello.
Come al mio solito.

Di corsa portai Ben da Amelia, che gentile come sempre, accettò senza problemi di tenerlo con sé per un po'.

Scesi perciò in strada, presi le chiavi della macchina dalla borsa e mi misi al volante, guidando in direzione del club Angels.

Appena arrivai vidi Dylan che fumava. Sembrava essere immerso tra i suoi pensieri, camminando avanti e indietro.
Sembrava frustrato.

Era davvero così tanto preoccupato ed arrabbiato per la storia del tentato scasso?
Non mi sembrava quel tipo di persona, ma evidentemente mi sbagliavo: questa storia lo aveva innervosito molto.

-Non sapevo che fumassi- dissi appena scesi dall'auto.

-Fumo soltanto quando sono nervoso- mi spiegò.

-È un brutto vizio- affermai, ricordando mio padre.
Era un grande fumatore ma un ottimo padre. Ricordai nella mia mente il suono di quella tosse secca e cronica che lo tormentava da anni per colpa di tutto quello schifo che vi mettevano all'interno di quei bastoncini così visibilmente innocui.

-Lo so- rispose, buttando per terra la sigaretta ormai finita.

Pochi istanti dopo Dylan prese dalla tasca dei pantaloni le chiavi del locale, probabilmente per essere certo non ci fossero stati danni all'interno.

Lo seguii a mia volta e ciò che vidi sembrava tutto alla normalità.

Era strano vedere il locale vuoto.
Così tranquillo e silenzioso.
Nessuna musica assordante, zero persone attorno noi.
Perfino il nauseante mix di alcool e fumo a cui ero ormai abituata da anni erano del tutto spariti.

-Quindi...quale sarebbe il tuo modo per farmi calmare di cui parlavi prima?- mi domandò improvvisamente, avvicinandosi lentamente verso di me.

Una volta che fummo uno di fronte all'altro, appoggiai le mie mani sul suo petto, abbassandole lentamente fino all'orlo dei pantaloni.

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