37. Johnson

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"Tu" afferro Lucas dal colletto posteriore della maglia
"Ciao fratellone" sorride poco intimorito
"Dove si è cacciata quella peste?" lo guardo accigliandomi
"Ha detto che andava in bagno, ma sai com'è fatta, è peggio di me, odia le feste e non è più tornata" sorride per poi liberarsi della presa e correre via

"Fratello" mi salta addosso Lincoln scompigliandomi i capelli con una mano
"Sta fermo" mi lamento sorridendo
"Dai butta giù capitano" mi si affianca Cody passandomi una bottiglia di birra mezza piena
"Già, la prima partita l'abbiamo vinta e la seconda sarà a metà gennaio quindi uno strappo puoi farlo" annuisce Andrew
"Non ne ho voglia" scrollo le spalle lasciandogli il bicchiere
"Se la stai cercando è nella mia stanza" mi indica Lincoln con un sorriso complice
"Grazie" faccio un cenno col capo per poi superarli e andare al piano di sopra 

Entro nella camera di Lincoln e vedo le chiavi dietro nella toppa da dentro, così la chiudo per poi notare Hol distesa sul letto di Lincoln che fissa il soffitto pensierosa. Mi stendo al suo fianco sorreggendomi sui gomiti mentre porto un cuscino sotto il petto.
"A cosa pensi?"
"Odio le feste" 
"Vuoi andare via?"
"Odio ancora di più starmene a casa mia" continua annoiata
"E chi ha parlato di riportarti a casa" domando sorridente
"Dove vuoi andare?" mi guarda curiosa 
"C'è la Tower" affermo "si dice che c'è una vista mozzafiato da lì" aggiungo 
"Passo, sono sicura che prima o poi di sotto succederà qualcosa per cui vale la pena restare"
"Parli di litigi?" 
"Ad ogni festa succede sempre qualcosa" annuisce 
"Senza Bettany e Madison non credo ci sarà un dramma" l'avverto
"Conosci quella frase?" indica il soffitto cambiando discorso

Seguo il tratto che mi ha indicato e leggo la frase firmata J.P.
 Ricordo quel giorno, fù intervistato dopo una sua partita, quella frase aveva segnato la sua carriera e la sua immagine. 
'Il basket mi ha salvato la vita, mi ha dato tutto quello che nessuno poteva darmi'
"Ricordo quell'intervista" sussurro 
"Era proprio innamorato" sorride
"Sai, ci ho parlato oggi prima della partita" sussurro ripensando alle sue parole e al significato di esse 
"Che ti ha detto?" si incuriosisce e io la guardo negli occhi, rivedendo lo stesso colore di suo padre 

Flashback

"Allora, lo schema resta lo stesso, ricordate le postazioni e l'allenamento fatto" grida John entrando negli spogliatoi dove ci stiamo cambiando
"Si" ululiamo in coro 
Siamo pronti per vincere, siamo pronti per scendere in campo e far vedere a tutti chi siamo e quanto valiamo.

Tutti iniziano ad uscire pronti per la partita, ma io mi prendo ancora qualche minuti di calma e allaccio le scarpe più volte cercando di fare un laccio perfetto.
"Carico?" John si siede al mio fianco sistemandosi il cappello sul viso  
"Teso" lo correggo stringendo il nodo
"Anche io lo ero prima delle partite, è naturale" annuisce "Ma avete lavorato sodo e siete pronti" continua poggiandomi una mano sulla spalla
"Non voglio scendere in campo con te come allenatore, ci sono troppe aspettative e io non voglio deluderti" lo guardo con fare serio 
"Dylan Johnson, io non ho mai visto nessuno giocare con la passione che hai tu, questo è sufficiente affinché tu non possa mai deludermi" queste sue parole bastano per darmi la carica giusta per scendere in campo e vincere
"Sono cresciuto indossando la tua maglia, il tuo numero. I miei fratelli dormivano con la favola della buonanotte, io leggevo il tuo libro sulle tecniche perfette per il basket, venivo ad ogni tua partita e ti guardavo sempre in tv" sorrido ripensando al me bambino innamorato della persona che ora è davanti a me e che prova qualcosa per sua figlia "Tu vivevi per il basket, non è tardi per riprendere a giocare" cerco di convincerlo
"Quello era il me giovane, ora io vivo per la mia famiglia, per i miei figli" annuisce con sentimentalismo e io non lo concepisco
"Non devi scegliere tra loro e il basket, puoi averli entrambi" insisto "anche Hol lo vorrebbe. Coach, la prego ci pensi, lei è la storia del basket" mi alzo esaltato
"Michael Jordan è la storia del basket" mi corregge 
"Hai davvero mollato solo per l'asma di tua figlia? Io credo ci sia dell'altro sotto" ammetto accusatorio 
"Non è a me che devi fare questa domanda" mi corregge per poi uscire dagli spogliatoi per primo, lasciamomi lì da solo 

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