61. Johnson

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"L'ho cercata ovunque, non è qui" Marcus guarda John che annuisce calmo, conoscendo sua figlia meglio di chiunque altro, poi annuisce tra se e se
"Credo di sapere dov'è andata" afferma 
"Dove?" domanda sua madre preoccupata 
"Marcus, porta mia moglie e i ragazzi a casa, io e Dylan andiamo in un posto" guarda il riccio che annuisce, poi guarda sua moglie cercando di farla restare calma 
Quando sono arrivato qui non mi aspettavo che fosse scappata, dopo una rivelazione troppo dolorosa per lei. Sento il suo dolore, lo percepisco nelle ossa, nel cuore. Lo sento, sento Hol, ma dov'è? 

Salgo in auto con John, guida per le strade di New York mentre mi spiega con calma i risultati della tac. Resto stupito quando parcheggia nell'area riservata ai giocatori del Madison Square Garden, lo stadio olimpico di New York, poi però mi ricordo che Hol mi disse che veniva sempre qui ad allenarsi con suo padre e suo nonno.
"Signor Parker, è sempre il benvenuto" saluta cordialmente una guardia all'ingresso, aprendo la porta al Dio del basket, che attraversa il corridoio dello stadio come se ne fosse il padre, e in effetti è così.
"Patrick, c'è Olivia qui?" domanda, ma conosce già la risposta
"Si, com'è cresciuta" sorride lui "è nella palestra centrale" annuisce poi 
Se non fosse che ho voglia di trovare la mia ragazza, ammirerei questo stadio all'infinito, con la perenne enfasi di un bambino.
Sento il rumore della palla che rimbalza, il fischio dell'arbitro, le scarpe che stridulano contro il pavimento. Trofei ovunque, coppe, medaglie, palloni d'oro. Autografi sulle maglie più celebri attaccate alla parete. poi c'è l'aria dedicata a Parker, la più bella del palazzetto, nonostante fosse il capitano della squadra avversaria ai New York Knicks.  

Entriamo nella grande palestra, il tabellone è spento, solo le luci di emergenza sono accese. C'è silenzio, ma più percorro le scale degli spalti, più si sente un pallone, in lontananza, palleggiare lentamente sul suolo. 
"E' lì" sospira, e io guardo oltre di lui, vedendo la piccola Hol seduta sulla panchina a bordo campo, con gli occhi persi nel vuoto, e le mani che bloccano il pallone che lascia cadere lentamente, per poi ribloccarlo "Vado io" annuisce John, e io non obietto 

Fisso la ragazza davanti a me, i suoi capelli nocciola che le ricadono mossi sulle spalle, gli occhi che sembrano mare in tempesta. L'aria stanca, le occhiaie e le labbra secche. Il volto pallido, ma gli occhi rossi. Ha pianto, e il mio cuore con lei. 
E' qui, davanti a me, ferma, e io sento il mondo vacillare sotto i miei piedi. 
Sento il suo dolore, la sua paura, la sua speranza svanire. La sento, sento ogni sua sensazione, ogni pensiero, ogni timore. 
Non ci sono più speranze, non ci sono più certezze. Improvvisamente, c'era solo il cancro. 

"Devi conoscermi proprio bene" sussurra guardando suo padre, e i suoi occhi tornano lucidi 
"Tu sei me Hol, come potrei non conoscerti?" sospira lui prendendo posto accanto a lei, che lascia andare la palla che rotola sul pavimento, lontana dal campo 
"Papà" lo chiama lei con voce rotta "Perchè proprio a me?" e quella sua domanda, riesce a trafiggermi l'anima 
"Perchè Dio sa quanto sei coraggiosa" le accarezza i capelli 
"Io non sono forte, ma non posso permettermi di essere debole" mormora stancamente
"Hol, possiamo tentare ancora" annuisce lui sicuro, ma questa sicurezza esiste davvero?  
"E' troppo tardi" sorride amaramente lei, tornando con lo sguardo basso "Ho paura" ammette, e suo padre la stringe in un'abbraccio, cercando di salvarla dall'oscurità che la sta divorando 
Ma come si salva una persona che non vuole essere salvata? 
Perchè infondo Holly si è arresa alle tenebre, alla vita. Un giorno, sotto lo sguardo inconsapevole di tutti noi, ha semplicemente smesso di lottare. 

Esco per primo lasciandoli da soli. Mi appoggio alla macchina dei Parker e respiro piano. Stringo una mano all'altezza del cuore che mi fa male.
Respiro, cerco aria che però non arriva nei polmoni.
Mi lascio cadere sull'asfalto, con la schiena contro la vettura, mentre lascio scivolare le dita sull'asfalto ruvido, ricordandomi dove sono, che sono vivo, e che devo solo respirare.
Sento l'ansia invadermi la mente. Respiro. Sento il cuore rimbombarmi nelle orecchie. Tutte le altre emozioni svaniscono, c'è solo la paura, e il mio cuore che sembra esplodermi nel petto. Ma il cuore non può esplodere. Guardo il cielo, il sole mi accarezza il viso, mentre una lacrima solitaria scivola sul alto destro.  
Calmati Dylan. Respira.
Guarda il sole, conta le nuvole, tocca qualcosa che ti ricordi dove sei. Ferma i pensieri, respira.
Respira ancora, poi ancora una volta, lentamente, senza fretta.
Sono qui, sono vivo, Hol è ancora qui con me, viva.
Posso convincerla, posso farla vivere, posso farcela. 
Mi concentro sui rumori, sento il clacson delle auto il lontananza, il rumore del cielo, il rumore della città. Mi alzo, sistemo i vestiti, continuo a guardare in alto. Respiro piano, è passato. Cos'è stato? Mi è sembrato di scivolare in un baratro senza uscita, di precipitare nell'inferno. 

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