59 | fucked up

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Ho l'insana abitudine di reprimere le mie emozioni in un angolo remoto della mia mente, dove - col passare del tempo - si accumulano inevitabilmente fino a dover lottare tra di loro per lo spazio; e quella che perde in queste insignificanti battaglie riemerge, facendomi solo soffrire. Il peggio, tuttavia, arriva quando sono troppe e mi investono in un colpo secco ma preciso, che mi scombussola, mi devasta e chissà, magari un giorno, mi ucciderà. È come se archiviassi ogni sentimento, positivo o negativo che sia, per pura paura del cambiamento che comporterebbe o garantirebbe. Ebbene sì, non sono soltanto un bel faccino, ma anche una grande, inguaribile fifona.
Oggi però cambierà tutto, e le paure me le dovrò mangiare, una dopo l'altra, per non permettere al panico di distruggere tutti i miei progetti, di distruggere la mia vita, che non è di certo messa in condizioni rosee.

Dean mi accompagna premurosamente a scuola, dove – poco prima di lasciarmi partecipare alle lezioni scolastiche – mi riempie di baci e allunga un po' le mani, sussurrandomi all'orecchio di avere comperato dei nuovi preservativi. Non gli prometto niente - adesso non riesco a promettere nulla nemmeno a me stessa - e lo sprono a recarsi da sua madre per aiutarla con gli ultimi ritocchi della cerimonia, in modo tale da poter cambiare direzione senza che lui lo scopra.
Mi vedono alcune ragazze della mia classe, ma con la scusa banale e falsa di un improvviso malore alla pancia, non si soffermano su di me e mi permettono di ritornare a casa mia. Abbranco lo zaino eastpack, all'interno del quale ci sono tutti i soldi e i documenti che so che Dominic richiederà per concedere la libertà a mio padre; e informo mia madre del piano in modo frettoloso e riassuntivo. Si mette a piangere e anche ad obiettare le decisioni che ho ormai ho preso, ma infine riesco ad ottenere il suo appoggio e a mettermici d'accordo: avrei trattato con Dominic, liberato papà, partecipato al matrimonio di Celeste e Finn mentre lui e mia madre avrebbero dovuto già prendere il treno, e io li avrei raggiunti alle 23:00. Non era certo la giornata tipo che mi sarei voluta prefissare, soprattutto con un piano con scarse possibilità di successo e disegnato in breve tempo, ma non ho ulteriori opzioni.

Mediante un cellulare usa e getta, compongo il medesimo numero telefonico che avevo utilizzato il giorno precedente, e chiedo di poter incontrare quella feccia umana che ha distrutto la mia famiglia, sottolineando sin da subito di essere in possesso di tutti i soldi.

"Che cosa vuoi ancora, ragazzina?" la persona dall'altra parte del telefono cambia e deduco che stia parlando adesso con Dominic.
"La stessa e identica cosa di ieri: la libertà di mio padre."

"Come faccio a sapere che non stai aiutando gli sbirri?" bofonchia dopo un minuto di silenzio. Stringo i denti per restare lucida e la mano libera si stringe in un pugno, stretto quanto lo è il mio stomaco per la tensione che mi divora dall'interno.

"Il fatto che tu abbia in mano la vita di mio padre e io abbia invece tutti i documenti necessari per farti trovare e arrestare. Non li consegnerò perché so che non ti ci vorrebbe molto ad incastrare anche lui" esplico, sperando che mi creda e che mi dia ciò per cui sto lottando.

"Sul lungolago, tra dieci minuti" fissa il nostro punto di incontro per poi riattaccare senza darmi tempo di dire altro. Non che mi aspettassi un "ciao", "salutami la mamma": ma è stato comunque maleducato.
Le gambe mi tremano, ho il groppo in gola e per poco non svengo quando, arrivata sul lungolago, lo trovo in bella vista, indolente che qualcuno possa scorgerlo e riconoscerlo.
È un uomo sulla quarantina, vestito talmente elegante da stonare con la natura circostante, ed è ambiguamente solo, senza i suoi scagnozzi.

"Wow, sei la copia esatta di tua madre" esala sorpreso, e un brivido mi percorre immediatamente tutto il corpo.

"Ho i soldi che mio padre ti deve. Finiamola qui" affermo, concisa e pretenziosa, cercando con difficoltà di nascondere il mio timore; dopotutto ho di fronte un folle ma lucido maniaco che gestisce un traffico di persone, tra cui schiavi e schiave per la manodopera o per la prostituzione.

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