1.Autumn

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A Jimin piaceva l'autunno.
Le maglie lunghe che poteva indossare, in cui il suo corpo minuto si cammuffava e si nascondeva, come se la protezione potesse essere data da un semplice capo d'abbigliamento.
Nemmeno la temperatura autunnale era male, adorava quando soffiava quel lieve vento che accarezzava i suoi capelli, biondi come il grano.
Un'altra cosa che amava di quella stagione erano i colori: il rosso, l'arancione ed il giallo contrastavano con lo spegnersi dei verdi colori dei campi, con l'aridità delle steppe e con i fiori ormai secchi nei giardini di Busan. Gli alberi si spogliavano dei loro abiti di foglie, bagnati da gocce di pioggia che cadevano con un ritmo simile a quello delle castagne che presto sarebbero state cotte e mangiate di sera, nelle case scaldate dal tepore dei camini a legna che poche persone ancora avevano.
L'autunno sapeva di famiglia, di scuola, di nuovo inizio, di legna bruciacchiata e di caldarroste.
Sapeva di biscotti e di paura che i bambini più piccoli avevano di cominciare la scuola. Profumava di vestiti tirati fuori dagli armadi dopo tanto tempo, che andavano a sostituire quelli dell'estate, e che sua nonna amava poggiare nei cassetti con qualche ramo di lavanda, per lasciarli con un buon odore.
Era così bello l'autunno, la perfetta metafora della delicatezza fredda dell'inverno e del caldo sprigionato dell'estate.
I suoi passi calpestarono una foglia dopo l'altra, disturbando il ritmo naturale delle cose, che per una mattina stava ignorando: con le cuffie all'orecchio, camminò fino al college.
Si premurò che la sua felpa fosse abbastanza grande da coprire perfettamente ogni centimetro del suo petto e delle sue braccia, e una volta verificato questo varcò il grande cancello di ferro battuto.
Respirò a pieni polmoni l'aria che ormai sapeva di smog, a causa dei motorini che entrarono per essere parcheggiati dagli studenti che ne erano proprietari.
Tossì, infastidito, e fece le scale che lo separavano dalla porta d'entrata della facoltà di Filosofia e scienze dell'Educazione: voleva diventare insegnante, oltre che imparare a sviluppare un proprio pensiero per aiutare gli altri.
Si diresse all'info point, per ritirare il foglio con le classi e gli orari: era perfettamente in ritardo per la classe di Psicologia dello sviluppo, un ottimo inizio, insomma.
"Benvenuti a tutti, dunque." stava dicendo il professore, poi si accorse di Jimin, che se ne stava davanti alla porta dell'aula, in imbarazzo.
"Entri pure, signorino, non ho ancora cominciato la lezione." gli sorrise, gentile.
Il biondo ringraziò, per poi accomodarsi in terza fila, accanto ad un ragazzo dai capelli marroni.
Seguì con calma la lezione, sperando che nessuno gli parlasse, è così fu.
Il ragazzo vicino a lui parlò con una giovane matricola dai capelli tinti di un lilla curioso, una ragazza che sembrava ben poco interessata a discutere della lezione, ma piuttosto fissava il corpo del suo interlocutore.
Jimin odiava le persone che osservavano solo e solamente il fisico.
Era stato vittima di bullismo per anni, a causa del suo fisico ritenuto in sovrappeso, e aveva cominciato a mangiare davvero il necessario per poter sopravvivere senza svenire, nonostante le proteste di sua nonna.
I ragazzi che lo bulizzavano, però, gli avevano fatto anche di peggio: il loro obiettivo era distruggere Park Jimin, il ragazzo innocente e bravo a scuola, lo studente modello che viveva con la nonna ed un micino... per loro, che lo chiamavano 《sfigato.》
Si perse a pensare al suo passato, in quelle due ore di lezione, senza accorgersi delle date che il professore stava dettando agli studenti, relative agli appelli d'esame e a qualche abbozzo per i testi da comprare e consultare per la materia.

"Jimin, sei certo di non voler diventare popolare?" aveva chiesto il suo allora ex migliore amico, con un sorriso incredibilmente falso, a cui all'epoca non aveva dato peso.
"No che non voglio, vorrei rimanere il solito Jimin..."
Non l'avesse mai detto: era lì che era cominciato tutto.
"Quindi vuoi rimanere il Jimin grasso che sei ora? Hai intenzione di salire le scale rotolando, Park?"
Se ne ricordava tanti, di quei commenti.
"Sei proprio il cocco della nonnina, chissà quanto devi mangiare per essere diventato così, povero piccino."
"Oh, come sta il gattino, Park? Ah, già, hai mangiato pure quello..."

"Hey, la lezione è finita." disse qualcuno, risvegliandolo dai suoi pensieri, in tempo per fermare le lacrime che avrebbero voluto scendere dai suoi occhi.
Occhi scuri, capelli castani leggermente in disordine, fisico perfetto: doveva sicuramente essere un ragazzo popolare.
"G-grazie." balbettò, imbarazzato.
Raccolse il suo quaderno e mise le penne nell'astuccio, sperando di poter essere lasciato libero, e non bullizzato nuovamente.
"Comunque piacere, io mi chiamo Jeon Jungkook." si presentò il ragazzo, con un sorriso che sembrava sincero.
Ma Jimin aveva paura delle persone.
Le odiava, profondamente.
Non voleva essere ferito ancora da nessuno, non lo meritava, era un ragazzo come tanti, ma con una storia che pochi potevano 《vantare》 alle spalle. Non riuscì a rispondere al ragazzo, corse fuori dall'aula cercando di non inciampare, fallendo miseramente e stampandosi al suolo.
Come da copione, qualcuno lo aiutò ad alzarsi: un ragazzo dai capelli rossi ed un grande sorriso.
"Va tutto bene?"
Jimin annuì.
"Aspetta un momento, Park Jimin?"
Il biondo pensò per un momento che fosse uno degli amici dei ragazzi che gli avevano rovinato la vita, ma rispose comunque di sì: quel vieo sembrava familiare.
"Oh, io sono Jung Hoseok, secondo anno. Abbiamo frequentato la stessa scuola di danza." spiegò.
Jimin si rilassò, ricordandosi effettivamente di quel ragazzo dal sorriso a cuore, anche conosciuto come J-Hope tra i ballerini.
"È un piacere rivederti, hyung ma ora sono davvero di fretta. Ci si vede in giro, Hoseok-hyung." il biondo uscì velocemente dal cancello, aveva bisogno di aria fresca.
Fuori il vento disordinò i suoi capelli, che sembrarono un nido di rondini.
Era stato bravo a fingere di essere felice anche quel giorno, e soprattutto era un'ottima cosa che la prima settimana di università fosse con molte meno ore rispetto al solito.
Si diresse verso casa poco prima che la massa di studenti uscisse dalle aule, e riuscì a sorridere sinceramente al pensiero di sua nonna che lo aspettava a casa.
Se c'era una cosa a cui Jimin teneva davvero, quella era la donna che lo aveva cresciuto come un figlio.

𝐏𝐥𝐞𝐚𝐬𝐞, 𝐬𝐭𝐚𝐲 𝐟𝐨𝐫𝐞𝐯𝐞𝐫-𝐉𝐢𝐤𝐨𝐨𝐤 ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora