9.Remember

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>>Se vi va ascoltate la canzone qui in alto, è quella che ascolta Jimin in questo capitolo quando è sul bus<<

Finite le lezioni, Jimin e Jungkook si salutarono, accordandosi per il giorno seguente: si sarebbero trovati dal cancello della scuola, come quella mattina.
Il biondo, accompagnato dal rumore delle stampelle, arrivò con calma fino a casa, dove trovò sua nonna ad aspettarlo.
"Ciao, piccolo mochi." la donna gli lasciò un bacio sulla guancia. "Hai già pranzato?"
Il ragazzo annuì. "Sì, con un mio compagno di università. Sai, il mio nuovo amico, Jungkook."
La signora sembrò soddisfatta.
"Quando ti deciderai a passare dai tuoi genitori, Jimin?" domandò poi.
"Volendo, anche oggi o domani..." ragionò il ragazzo. "Sì, decisamente oggi. È troppo che non li vedo, mi mancano tanto, nonna. Mi ricordo sai, ogni giorno che abbiamo passato insieme come una vera famiglia..." cominciò a piangere, cercando di togliere i segni del pianto dal suo viso pallido.
Le lacrime, come gocce di pioggia, rigavano il suo viso, i nudi sentimenti fecero tremare quel fragile corpo, pareva una foglia di primo mattino, con il vento che muoveva verso il basso le goccioline di rugiada, piccole perle alla brezza del giorno.
"Jimin, vieni qui." sua nonna lo avvolse tra le sue braccia, il suo rassicurante profumo di lavanda lo sollevò da quel dolore. "Sono sicura che sarai abbastanza forte per entrare là dentro ed essere coraggioso, bimbo mio."
Il ragazzo annuì, prendendo tutto ciò che gli occorreva, con le stampelle che andavano allo stesso ritmo della vita attorno a lui. Per sua fortuna, l'autobus era semivuoto, e fu grato di poter sentire la musica nelle cuffiette, che lo calmò a dovere come aveva sempre fatto. Amava la musica...
Dimenticò di avere problemi familiari. Dimenticò il suo disturbo dell'alimentazione, le crisi di panico, i sogni spezzati, l'accademia alla quale sarebbe voluto andare, non ci pensò.
Si fece trasportare dalle note, mentre gli Imagine Dragons cantavano Whatever it takes.

Falling too fast to prepare for this
Tripping in the world could be dangerous
Everybody circling is vulturous
Negative, Nepotist
Everybody waiting for the fall of man
Everybody praying for the end of times
Everybody hoping they could be the one
I was born to run, I was born for this

Anche lui probabilmente era nato per un motivo, solo che non sapeva esattamente quale... forse prima o poi lo avrebbe scoperto, più poi che prima. Si chiedeva spesso quale doveva essere il suo posto nel mondo.

Whip, whip
Run me like a race horse
Hold me like a rip cord
Break me down and build me up
I wanna be the slip, slip
Word upon your lip, lip
Letter that you rip, rip
Break me down and build me up

Cercava qualcuno che potesse capirlo, qualcuno che lo sollevasse, che potesse aiutarlo con la sua fragile vita.
Perchè sì, Jimin sentiva di aver bisogno di una mano per poter andare avanti, il peso che reggeva era troppo per lui.

Whatever it takes
Cause I love the adrenaline in my veins
I do whatever it takes
Cause I love how it feels when I break the chains
Whatever it takes
Ya take me to the top, I’m ready for
Whatever it takes
Cause I love the adrenaline in my veins
I do what it takes

Avrebbe fatto tutto il possibile.
Per essere migliore, per essere perfetto. Lui si vedeva sbagliato, si vedeva grasso... eppure, pensava che la musica avrebbe potuto aiutarlo, come stava facendo in quel momento.
Solo che non aveva messo in conto una cosa: i suoi pensieri erano troppi per quei 40 minuti di viaggio.

Varie canzoni dopo, arrivò alla sua destinazione, più in ansia che mai.
Quanto tempo era che non metteva piede in quel luogo?
Il 50 si fermò davanti a quella grande casa dalle pareti bianche, quasi inquietanti. Il giardino, decorato da querce e fiori di vari colori, dava un senso molto più rassicurante dell'edificio di fronte a lui, che sembrava un istituto di sanità mentale di quelli che si vedevano solamente nei film horror.
Entrò, e subito l'odore di farmaci e cibo da mensa lo colpì, facendogli storcere leggermente il naso.
"Salve." disse, avvicinandosi al bancone della reception. "Sono qui per visitare i coniugi Park, sono il loro figlio." si presentò educatamente.
Una donna in divisa bianca sorrise. "Mi segua pure, signorino Park. I suoi genitori sono al momento al terzo piano, camera 15."
Il biondino annuì, seguendo la responsabile. "Come stanno?"
La donna sospirò. "Sua madre sta migliorando lentamente, mentre suo padre continua ad avere difficoltà nella comunicazione." spiegò.
Il ragazzo sorrise. "Quindi mio padre si è ripreso completamente a livello fisico?" L'infermiera fece segno di sì con la testa. "Può fare tutto normalmente, ma pensavamo che forse la vicinanza alla moglie potesse aiutarlo a recuperare l'uso della parola. Abbiamo però verificato che ricorda di lei, signorino."

Finalmente, arrivarono alla stanza 15.
Non appena mise piede nella stanza, suo padre gli rivolse un grande sorriso, con le lacrime agli occhi.
Anche Jimin era emozionato. "Ti ricordi di me, appa?" l'uomo annuì.
L'abbraccio che gli era tanto mancato finalmente lo avvolse, mentre di nuovo, le lacrime gli pervadevano il viso. Era... felice?
Sentì le mani familiari del padre accarezzargli i capelli biondi, spesso faceva la stessa cosa quando Jimin era piccolo, e questo contribuì a farlo stare meglio. Gli raccontò un po' dell'università e di tutto quello che gli stava succedendo, verificando le reazioni alle sue parole da parte del padre, che non poteva rispondere verbalmente ma solo con i gesti.
Gli fece male vederlo così, ma almeno lui ricordava di avere un figlio e di tutto il loro passato insieme.
Jimin gli ricordò di quando erano andati al mare insieme e lui aveva 9 anni, avevano preso tre o quattro granchi e li avevano messi a sorpresa sulle gambe della madre di Jimin, spaventandola. Il signor Park, bravissimo pittore, disegnò su un quaderno che era stato lasciato accanto al suo letto uno schizzo della scena, facendo ridere il figlio.
Dopo aver salutato suo padre, il biondo si diresse da sua madre.
Sedeva su una sedia, con gli occhi inespressivi, il volto stanco e provato.
"Buon pomeriggio." salutò.
La donna lo osservò. "Chi sei?"
Jimin ormai sapeva che non ricordava nulla, ma lo fece comunque sentire incredibilmente triste.
"Mamma, sono Jimin. Sono tuo figlio." rispose, dolcemente.
"Mio figlio, eh? Oh sì, ho messo delle tue foto nel mio quadernino, ma eri un po' più piccolo di adesso mi pare. Jimin... quanti anni hai, tesoro?"
Il biondino cercò di mostrarsi sorridente e felice. "Ne ho quasi 20, mamma." le strinse la mano con dolcezza, mentre la donna gli sorrise.
"Se ricordo bene, non hai dei fratelli o delle sorelle, vero?" domandò.
Jimin scosse la testa.
"Per quale motivo sei venuto a trovarmi... Jimin?"
Il ragazzo decise di essere sincero. "Mi mancava vederti, mamma. Spero tu possa recuperare presto la memoria, ti ho portato delle nuove foto. Questa è una nostra foto al mare quando ero più piccolo assieme a papà, mentre questa l'ho fatta qualche mese fa con la nonna."
La signora Park annuì. "Grazie, tesoro. Potresti metterle in quell'album di foto? Sai, è quello dove tengo le foto che mi portano, poi scrivi qualcosa, così proverò a ricordarmene."
Fece come detto da sua madre, poi salutò entrambi ed uscì. Aveva la pelle d'oca, si sentiva davvero strano.
Chiunque avrebbe preso i suoi genitori per pazzi, non lo avrebbero capito facilmente: la sua era una vita difficile... a seguito di quell'avvenimento che aveva sconvolto la vita del ragazzo, tutti pensavano che i coniugi Park fossero solo impazziti, invece erano solo stati colpiti in determinate aree del cervello dal trauma.
Pensò a Jungkook, al quale aveva semplicemente detto che i suoi genitori abitavano in un'altra casa: e se avesse scoperto la verità? Lo avrebbe preso per un cretino che nascondeva la verità?

𝐏𝐥𝐞𝐚𝐬𝐞, 𝐬𝐭𝐚𝐲 𝐟𝐨𝐫𝐞𝐯𝐞𝐫-𝐉𝐢𝐤𝐨𝐨𝐤 ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora