Non so perché mi comportai in quel modo. Una scheggia di pazzia, un gesto inspiegabile, ma anche una liberazione, seppur momentanea, da tutto ciò che aveva riempito la mia vita fino a quel momento. La volontà di rimandare il contatto con la mia famiglia, con il lavoro, con lo studio, con le amicizie, con le prospettive, con la programmazione ossessiva delle successive vacanze, con i sabati che passavano troppo in fretta, e le domeniche cupe che non ho mai capito il perché. E con quello che avrei dovuto essere, con quello in cui credevo e con quello che sapevo e che invece non avrei mai voluto conoscere. Ma rimanevano pur sempre mio figlio e mia moglie e mi sentii in colpa.
I poliziotti, e subito dopo i medici, se ne andarono lasciandomi solo (nuovamente) e promettendomi di ritornare presto, spiegandomi che "poteva accadere", che "non vi era ragione di preoccuparmi", che "che perdere la memoria, cadendo, e battendo la testa e di dimenticare momentaneamente tutto, era più comune di quanto pensassi".
Scusate, pensai, ma non era stato un infarto?!
Vergognandomi per la mia bugia che aveva destato in loro altre bugie, non aggiunsi parola.
Quelle comunque erano state le parole dei medici, non dei poliziotti che invece si erano chiusi muti e dubbiosi. Lo avrebbero compreso anche i muri che avevo mentito, ma io stupidamente scelsi quella parte fino in fondo.
Fui dunque lasciato solo. Dormii, decretando a me stesso che ne avevo diritto per gli anni di sonno arretrato e per la condizione in cui mi trovavo. E tutto ciò mi avrebbe dato finalmente la possibilità di recuperare dalla prostrazione che anno dopo anno si era consolidata nei miei muscoli e, più pericolosamente, nei miei nervi. Compresi che mi apprestavo come ad un viaggio, pur rimanendo immobile nel letto, che mi avrebbe portato attraverso i miei pensieri, ed infatti, in pochi minuti chiusi gli occhi e la vita intera mi passò davanti. Pur immerso nel sonno profondo, si sentivo consapevole di quanto mi stesse accadendo e non mi sottrai a quei ricordi. Come prima di una missione spaziale di cui ne ero il pilota, mi avessero chiesto - "sei pronto?" – ed in risposta un semplice e spiazzante - "Andiamo" - esattamente come aveva raccontato di aver fatto Yuri Gagarin al suo ritorno sulla Terra dopo essere stato il primo uomo nello spazio.
Quello spazio, adesso, erano i ricordi della mia vita, il mio passato, con il quale non ero abituato a fare i conti. E come per il famoso sovietico, mi trovai improvvisamente in uno stato di assenza di gravità, sospeso in un vortice, galleggiante.
Mi parve propriamente di viaggiare e, con la stessa velocità del "Vostok", la navicella russa capace di restare ottantanove minuti nello spazio e farvi ritorno, compii l'intera vita che avevo vissuto. Venticinquemila chilometri all'ora era stata la velocità della navicella sovietica e, parafrasando la sua famosa frase – "Com'è bella la Terra" – dovetti ammettere che della mia vita non potevo dire lo stesso.
Troppi i vuoti.
Non trovai pace in quel mio sognare. Al contrario, fui tormentato dai frammenti di vita che scorrevano nella mente, nel tentativo di selezionarli uno ad uno, trattenendo quelli buoni e assaporando l'agro di quelli cattivi.
Un via vai caotico, e grottesco.
Cercai allora una strada per uscire dall'incubo, ma non ci riuscii. E come avrei potuto?
Sudavo febbre.
Poi, improvvisamente, il mio corpo divenne più pesante, come se ritrovasse nuovamente nell'atmosfera terrestre. Aprii gli occhi con uno scatto delle palpebre. Mia moglie, mio figlio, i miei cognati, i miei genitori, le mie manie, i luoghi, le mostre d'arte e ... ma mi riaddormentai profondamente su quel "e" dimenticandomi il seguito che tormentò il resto del sonno.
Intanto, Torino era immersa nella quotidianità.
La città ignorava ogni cosa. A sé stante, viva, capace di sopravvivere ai suoi stessi abitanti, alla storia, agli scempi, Torino non mancava di fare il proprio dovere, quello di esistere, e a rimarcare il suo distacco rispetto agli accadimenti personali, compresi i miei. Tutto fluiva esattamente come prima. Solo il cielo era cambiato in quei giorni, diventando improvvisamente grigio.
Dormii quasi interrottamente per altri due o tre giorni. Anche i medici si stupirono della determinazione del mio riposare. A quel punto, e per me soltanto, il tempo era diventato un sistema irrazionale datomi in dote dalle conseguenze dell'infarto.
E con tutto quel tempo a disposizione, avevo modo di fare i miei calcoli.
Per farli, mi figurai un abaco come quello dei Sumeri. Ora ero più lucido, e nei miei ricordi tutto si incastrava perfettamente. Ogni dettaglio: le linee dei volti, il taglio degl'occhi, le bocche, le situazioni, gli attimi felici, i voti a scuola, i successi sbiaditi, e perfino le cose che credevo di aver dimenticato. Quelle giuste separate da quelle sbagliate. Quelle andate bene da quelle andate male.
Con una lucidità facilitata dall'essere libero da ogni vincolo, feci un personale resoconto delle azioni in cui mi sarei autopromosso e in quelle in cui invece mi assegnai una sonora bocciatura. Per giungere al risultato finale, decisi di adottare un metodo digitale: o promosso o bocciato, digitale appunto, o zero oppure uno, senza le complicate sfumature del sistema decimale della scuola. Così, il mio lavoro risultò efficace: o bene o male, o sì o no. Nessun "così così", nessun "forse", nessun "ma", e nessun alibi a disposizione.
L'elenco di tutti i fatti risultò però più lungo di ogni mia aspettativa, come se l'effetto dei farmaci anziché sedarmi, fosse diventato all'improvviso un viatico per la mia memoria.
Ed ecco allora arrivarmi tutti i ricordi insieme, ma seppi selezionarli e valutarli: ero stato un buon studente, un amico, un marito, un padre distratto, un pigro, un lettore, un appassionato d'arte, ma non un artista, un sognatore scadente, in generale un incapace su molti fronti.
Al termine delle mie valutazioni, ammisi a me stesso che i piatti della bilancia erano perfettamente allineati sui "sì" e sui "no". Come in una partita di calcio con moltissime reti da entrambe le parti. Ad ogni "sì" corrispondeva un ricordo che si era depositato in quella bilancia e così anche per i "no". Alla fine li contati ed erano sessantaquattro ricordi.
Avete compreso benissimo: ero riuscito a scegliere trentadue cose in cui nella mia vita ero riuscito bene ed altrettante male.
Un lavoro lungo.
Come quando a nuoto si eseguono le vasche in ripetizione e non si è in presenza di un nuotatore professionista: si inizia a contare e a metà di dieci vasche si hanno i primi dubbi, alla ventesima in realtà si trattava della diciottesima, alla trentesima della venticinquesima... e così via. Si consapevoli di aver nuotato meno di quanto si è pensato (per tutti è così, tranne per gli ingegneri e i per gli avvocati, precisi anche nel nuoto, questo sia chiaro).
In altre parole, lo ammetto: mi persi in quei ricordi,allontanandomi dalla realtà e dall'attualità che invece mi avrebbe dovutopreoccupare moltissimo.
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A pelo d'acqua
Mystery / ThrillerAndrea è un medico. Vive a Torino, la sua è una vita solo apparentemente normale. Ha una sola passione: l'arte. Ed è proprio questa che lo porta ad imbattersi in una storia che cambierà la sua vita riportandolo nel suo passato. E poi c'è Jaspreet u...