Quarantacinque

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Ottenuta una breve pausa, durante la quale lo Stato apparve misericordioso attraverso un bicchiere di caffè ed una bottiglia d'acqua, ritornai cocciutamente sul punto: "Voglio parlare con la Grimaudo".

Il capitano Toscani non sembrò turbato. Il ghiaccio di prima semmai parve essere maggiormente consolidato, in altre parole il suo viso era l'opposto accadeva da tempi ai poli del nostro povero mondo.

C'era qualcosa di indefinito nel suo sguardo.

Una consapevolezza di aver vissuto abbastanza per comprendere gli uomini, e forse anche le donne, e vidi anche, ma non potrei giurarlo, una capacità di accettazione verso gli esiti negativi delle cose. Per me, una miscela esplosiva che sarei stato incapace di gestire, in lui invece semplice routine.

Pertanto sembrava molto sicuro di sé, e non solo per le impressioni che trasmetteva a me, soprattutto per perché non aveva fatto alcun mistero, ed era stato l'unico fino a quel momento, nel dirmi che non avessero alcun elemento investigativo.

Tantomeno contro di me.

Senza alcuna mia richiesta, mi spiegò molto chiaramente quel concetto di "capacità operativa" e che di fronte a tale gravità, era stato richiesto l'intervento di alcuni reparti investigativi speciali, tra cui appunto quello da lui comandato. Alla mia logica domanda su chi fosse quindi (persona o entità) a richiedere cotanto reparto investigativo e cosa significasse tutto ciò, non ottenni alcuna altra risposta, ma vidi un ulteriore blocco di ghiaccio sommarsi all'iceberg.

Ma gli iceberg non mi facevano paura, semplicemente perché non ne avevo mai incontrato prima.

Quindi.

"La Grimaudo?"

"Mi spiace, ma deve parlare con me", disse con un tono gentile impressionato dalla mia determinazione.

"Quello che ho da raccontarle l'annoierà, mentre la Grimaudo saprà ascoltarmi".

"Perché pensa che la Grimaudo sappia ascoltarla?".

"Perché è interessata a scoprire perché le ho mentito, quando invece, razionalmente, non avrei dovuto farlo e credo di doverle delle spiegazioni".

Toscani, o forse dovrei dire il capitano Toscani, mi guardò serio.

"Su cosa le avrebbe mentito?".

Io esitai.

"Risponda".

"Con la Grimaudo mi sarà più semplice, mi creda".

Se lui era un iceberg, non mi parve in quel momento pericoloso ed io ero deciso a immergermi nelle acque profonde, fossero anche quelle gelide dell'Artico, fino a sfiorarne il fondale trovandovi le verità che avevo volutamente seppellito per anni. Vivendo esclusivamente in superficie, chiudendo gli occhi, voltandomi dall'altra parte. E soprattutto continuando a credere che il patrimonio di mia moglie, e di suo fratello, fosse la logica conseguenza delle loro attività. E forse, devo ammetterlo, questa era soltanto la versione dei fatti più semplice, perché in realtà vi era ben altro.

Mi sarebbe bastato essere maggiormente presente nella vita di Irene e di Michele per smascherare l'inganno, eppure non lo avevo mai fatto, neppure quella volta, a casa di Michele, quando avevo notato in un cestino alcuni fogli di carta appallottolati, come sempre faceva lui quando scriveva (si dilettava in poesie e racconti, ed era bravo, rileggeva i suoi scritti, ne provava vergogna, e buttava quei fogli nel cestino, appunto). Lo faceva spesso, lo sapevano tutti in casa Bombati. Tutti, incluso me.

Perciò quel giorno non avevo resistito alla tentazione di leggere quanto avesse scritto.

"E cosa lesse?", chiese Toscani, visto che quelle parole che avevo creduto unicamente di pensare, le avevo invece pronunciate ad alta voce.

Forse perché finalmente, il capitano Toscani, aveva acconsentito alla presenza dell'ispettore Grimaudo che, fatta chiamare, si era materializzata nella stanza della Questura e che ora stava appoggiata con la schiena alla finestra.

Guardandomi.

"Grazie per essere venuta", le dissi.

Lei non rispose, perché quella frase la pronunciai distrattamente.

"Cosa lesse in quel biglietto".

La voce di Toscani si fece severa, chiaro avviso che non intendesse darmi ulteriore tempo: mi aveva accontentato con la presenza della Grimaudo, ora non era più disposto ad accettare la mia reticenza.

"L'inizio di un testamento".

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