Nove

1.2K 57 6
                                        


La poliziotta era la stessa della volta precedente, l'uomo in divisa no. Era molto diverso dal precedente, potrei affermare l'opposto, perfino marziale. Si qualificarono in modo formale e che mi parve essere eccessivo, ma probabilmente si trattava di prassi che io non conoscevo. In tutti i casi, ricordo soltanto il nome di lei. La poliziotta riempiva la scena e, soprattutto, portava lo stesso nome di un'attrice italiana, così non ebbi difficoltà a focalizzarmi su di lei: ispettore Nicole Grimaudo.

Di cinema sapevo poco, ma di fiction italiane quasi tutto. E la Grimaudo, l'attrice intendo, la conoscevo bene e l'avevo anche casualmente incontrata in un aeroporto e, rinunciando ad ogni pudore, presentandomi a lei, ero riuscito a scambiarvi qualche parola appena.

Dovetti interrompere la divagazione, perché era evidente che l'ispettore era ritornata per riformulare la stessa domanda della volta precedente. Con mia sorpresa, però anziché andare al punto, tergiversava: mi chiese del mio stato di salute, se mi trovassi bene in quell'ospedale (Le Molinette) e se i medici avessero già ipotizzato il mio rilascio.

A quella parola, scoppiò a ridere e fu quanto di più inaspettato: "Mi scusi, non intendevo dire –rilascio-, ma quando la dimetteranno!".

Le cannule innestate alle mie braccia erano quasi del tutto sparite e potevo muovermi, così risi anche io e mi rilassai.

"È consapevole di avere il nome ed il cognome di un'attrice?", azzardai.

"Sì. Ed a volte è un problema. La conosce?".

"È tra le mie preferite".

"Credo sia una brava attrice", disse ma senza chiudere il punto ed aggiungendo alcuni dettagli sulle fiction che anche lei conosceva. Tergiversava, appunto.

Ero convinto che una poliziotta avesse il dono di capire la mia finzione e trovai quindi curioso che a quel punto stessimo proprio parlando di fiction. O forse era proprio il modo di arrivare alla realtà.

"Mi può attendere fuori?", disse al collega, che non sembrò preoccuparsi della richiesta.

"Certo, ispettore. Vado a prendere un caffè qui sotto, mi chiama lei nel caso?".

"La raggiungo io. Dopo".

Il poliziotto si congedò.

Ora non avrebbe più girato attorno all'argomento, pensai. Ed infatti fu proprio così.

Attese soltanto che si richiudesse la porta.

"Non la posso obbligarla a dirmi il suo nome, non adesso comunque. Però vorrei sapere perché lei sta mentendo".

Erano trascorsi giorni, eppure non mi ero dato una vera risposta a quella domanda. A quel punto allora avrei voluto prendere tempo, ma non conoscevo quel territorio ed addentrarmi in una conversazione incerta con la Polizia non mi parve un'opzione valida.

Non sapevo cioè, se quel mio esitare e continuare a mentire ad un poliziotto (poliziotta in quel caso, ed ispettore) fosse un fatto grave, e quanto.

Provai a suonare sincero.

"Avevo bisogno di una pausa".

"Direi che l'abbia avuta lunga abbastanza".

"Lei crede?".

"Non pensa alla sua famiglia?".

"Come sa della mia famiglia?".

"Lei è un chirurgo e cura le persone, io sono un ispettore e le indago".

L'espressione del suo viso era distesa. La luce degli occhi scivolava verso gli zigomi, che brillavano.

"Allora sa già tutto".

A pelo d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora