Fu soltanto dopo due interi isolati che riuscii a riprendere il controllo della mia volontà.
"Aspetta", dissi a Jaspreet.
Lei non sembrò neppure sentirmi, poi invece mi rispose: "Dobbiamo allontanarci da qui".
"Aspetta ti dico! Non posso andarmene, non più".
Jaspreet mi guardò in modo diverso da tutte le altre volte e mi ancorò il mio braccio destro strattonandomi.
"Dobbiamo! Andrea, dobbiamo andare via, credimi".
Era tutta la vita che scappavo da me stesso, dagli altri, ora non ne avevo più la necessità. Mi staccai dalla presa con un'energia maggiore di quella che aveva messo lei per bloccarmi. Presi un metro di distanza e mi fermai. Nel suo sguardo vidi la verità e finalmente tutta la storia quadrava.
Jaspreet fremeva per l'impazienza, il pericolo a cui alludeva doveva essere concreto e vicino, ma a me non importava. Feci uno sforzo enorme per non pensare alle conseguenze che il mio comportamento avrebbero potuto accadere e che avrebbero reso difficile la vita di mio figlio. Della mia invece non mi importava più, non quella che stavo vivendo e che avevo vissuto. Non questa fagocitata dalla malattia, non questa nella quale io non contavo nulla.
"Devi dirmi la verità adesso. Prima lo fai, prima potrai andartene".
Jaspreet capì che non mi sarei arreso. Si guardò intorno inquieta, indecisa se lasciarmi o se darmi le spiegazioni che le stavo chiedendo.
Un ragazzo issato su un skateboard tagliò in due il metro che ci separava creando in noi un ulteriore disagio. In un nulla scomparve dietro un angolo, scusandosi.
Presi ulteriore coraggio.
"Non è per i quadri che sei venuta da me. È per altro". Le dissi guardandola neri suoi occhi neri.
"Non solo, è vero, ma anche per quelli".
"Devo ritornare a casa, mi dispiace, non posso venire con te" le risposi anticipando la sua richiesta.
Jaspreet abbassò gli occhi.
Un uomo si stava avvicinando a noi e subito dopo una donna, entrambi accelerando il passo ci superarono intenti a seguire la loro vita.
Ero sulle spine, pronto ad andarmene e lei lo sapeva.
"È per quello che sai. Per quello sono venuta da te", mi disse all'improvviso con una voce sottile come se temesse di poter infrangere le vetrine dei negozi con il suono generato dalle sue rivelazioni.
Intanto le auto avevano iniziato a riempire la strada adiacente al marciapiede, ed il rumore del traffico creò in me una maggiore tranquillità, una normalità che in quel momento rendeva meno speciale quel momento, e per questo più accettabile.
"Chi sei Jaspreet?".
"Sono quella che dico di essere...", mi rispose lasciandomi senza parole, "...ma sono anche altro. Ora però dobbiamo andarcene Andrea, ti prego".
Mi voltai. Sapevo che mi avrebbe seguito e non mi avrebbe lasciato solo.
I miei passi veloci. diretti a casa.
Jaspreet camminava proprio dietro di me e non diceva una sola parola. La nostra andatura era una corsa.
Jaspreet provò ancora a dissuadermi, ma non le risposi. Avrei deciso dopo cosa fare, cosa fare della mia vita intendevo, ma lei non poté comprendere le mie parole.
Tutto era collegato da un filo e che a capo di quel filo vi era quella fotografia. Lo sapevo io, lo sapevano in Questura e forse anche altre persone, e in quest'ultimo caso probabilmente le stesse che avevano ordinato gli omicidi. Quello che però nessun altro tranne me sapeva, era il vero motivo che mi spingeva fino a casa.
Nella cassaforte custodivo un'altra fotografia scattata lo stesso giorno e con le stesse persone, ma non era identica a quella della Questura.
Era diversa.
In questa, i visi erano scoperti.
E i nomi, quelli veri, non quelli di battaglia, erano riportati nel retro della fotografia in modo inequivocabile.

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A pelo d'acqua
Mystery / Thriller@ pubblicato cartaceo da Edizioni della Goccia: Andrea è un medico. Vive a Torino, la sua è una vita solo apparentemente normale. Ha una sola passione: l'arte. Ed è proprio questa che lo porta ad imbattersi in una storia che cambierà la sua vita r...