Ventisette

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Il dirigente e la sua scorta sgombrarono il campo lasciandolo libero alla Scientifica, al medico legale, e agli uomini della Grimaudo.

Alla fine si erano convinti che l'omicidio fosse legato in qualche modo a me. Gli elementi per sostenerlo non erano pochi, e questo omicidio aveva definitivamente consolidato l'idea del tentato omicidio nei miei confronti.

Ma i tratti della storia che ci legavano, erano ancora perfettamente invisibili. E se solo la Grimaudo avesse sperato di trovarne una traccia sulla scena del delitto, seppur labile, seppur iniziale, ne sarebbe stata delusa.

Il giorno seguente, titoli di giornali a parte e vecchie fotografie della mia famiglia rintracciate in non so quale modo, fu quello che scrissero in un articolo di cronaca nera ad essere interessante per la Grimaudo, ma lei, a quel punto, cioè il giorno dopo dell'omicidio, aveva già intuito tutto.

Accertata l'identità di Camilla, fu evidente all'ispettore Grimaudo la necessità di dover agire immediatamente per proteggere il resto della famiglia.

Chiamò mia moglie sperando che la notizia non l'avesse già raggiunta.

"Pronto? Irene? Buongiorno, sono l'ispettore Grimaudo".

"Sono io".

Se soltanto io avessi potuto sentire la voce della Grimaudo, avrei immediatamente compreso la gravità della telefonata. Irene invece no. Era sempre stata così: evitava le brutte notizie ignorandone i messaggi premonitori, i sottointesi, le inclinazioni della voce.

Ma la Grimaudo sapeva come allarmare una persona, perfino una come Irene, appunto.

"È in casa Irene? Suo figlio è in casa?".

"Mio figlio è qui. Cosa è successo? Perché mi chiede questo?".

"Irene, ho già inviato una volante e tra poco saranno sotto casa vostra. Ma quando suoneranno al campanello, si accerti che siano realmente loro. Non apra comunque a nessuno, neppure a loro. I colleghi sanno di non dover entrare in casa vostra ed hanno l'ordine di limitarsi a salire al piano, di rimanere cioè fuori dalla porta. Ha capito bene? Irene? Ripeta per favore.".

"Ma perché?!", la frase fu quasi una preghiera.

"Hanno ucciso sua cognata, a Torino. Sono sul posto, ed è successo da poco".

"Siete sicuri che sia lei?!", gridò nella cornetta.

"Purtroppo sì. E a questo punto credo siate tutti in pericolo. Dobbiamo accertare i fatti, e non escludiamo che questo omicidio sia legato a quanto sia successo a suo marito".

"Va bene".

Con quelle due semplici parole, mia moglie Irene volle chiudere la comunicazione.

"Va bene", aveva detto: l'ispettore Grimaudo era abituata alle reazioni dei famigliari di una vittima, ma il tono con cui erano state pronunciate e l'arrendevolezza della dichiarazione, la scostarono dalla realtà con una forza che invece, quelle parole gentili, non avrebbero dovuto avere.

Così richiamò: "Ancora una cosa, Irene. Verrò da lei più tardi ma ora devo sapere due cose".

Ci fu un silenzio appena più lungo del dovuto, un'incertezza, che non sfuggì alla Grimaudo: "Cosa vuole sapere?".

"Dove posso trovare suo cognato?".

"Lo avviso io, lo chiamo subito".

L'ispettore Grimaudo sapeva dove trovare mio cognato, e aveva rivolto quella domanda soltanto per vederne la reazione perché mia moglie al telefono, "prima", non aveva chiesto niente di lui? Neppure un dubbio l'aveva sfiorata.

"A quest'ora è in ufficio, lavora in una assicurazione. È un piccolo ufficio di rappresentanza in Corso Re Umberto: è la filiale di una grande compagnia privata".

L'ispettore incassò la risposta, poi proseguì: "L'altra domanda invece è per Camilla. Sappiamo che lavorava al Museo Reale di Torino, ma non quale ruolo ricopriva. Lo scopriremo presto, ma forse lei può accorciare i nostri tempi".

"Era responsabile dell'ufficio legale".

Non c'era altro al momento, e la Grimaudo comprese che si stava muovendo senza alcun punto di riferimento ma che un filo rosso mi avrebbe portato a me.

"La chiamo dopo, Irene, come le ho detto attenda la volante e non vi muova da lì".

"Sono già qui sotto, sono due auto, li vedo dalla finestra".

"Bene. Rimanete in casa".

Nicole Grimaudo chiuse la conversazione senza attendere la risposta.

Ripose il telefono in tasca. Alzò lo sguardo. Si trovava di fronte alle Porte Palatine, a cento metri dall'ingresso ai Musei Reali. Il corpo di Camilla era ancora disteso a terra.

I passanti tenuti il più lontano possibile.

Qualcuno del museo diceva di conoscerla e piangeva.

Grimaudo guardò il medico legale che aveva terminato, poi si voltò verso l'auto per trasportare il cadavere che era pronta. Aspettavano soltanto il suo ordine per terminare.

"Un momento ancora".

Nicole Grimaudo si chinò sul corpo ed ispezionò la giacca di Camilla ma senza trovarvi nulla altro che le chiavi di casa e dell'auto, proprio come aveva detto il medico legale.

Se avesse con sé una borsa lo avrebbero probabilmente appurato più tardi durante le verifiche sul luogo di lavoro, e se fosse stato così, la borsa ora era nelle mani dei Killer.

Nel rialzarsi, l'ispettore notò un oggetto nelle traversine dei binari del tram poco più avanti. In pochi passi lo raggiunse. Era un vecchio Nokia, ancora intatto rivolto con il display verso l'alto ed era per questo che la Grimaudo aveva potuto notarlo.

Lo raccolse con il cuore in gola.

Il cellulare non risultava bloccato.

Ed allora eccolo l'errore dei due killer: avevano preso la borsa ma non avevano il telefono.

Perché quello era il telefono di Camilla De Luca!

A volte la soluzione dei misteri si trovano incastrate in questo oggetto che ha cambiato la vita di tutti. Basta saper cercare il luogo esatto dove è conficcata. Una fotografia, un sito web visitato spesso, un indirizzo cercato con Google o con MAPS, un nome in rubrica, un codice nascosto, o anche la traccia lasciata dal telefono muovendosi lungo le celle dell'operatore telefonico.

Nel caso di Camilla fu molto più semplice di così.

Nicole Grimaudo controllò i messaggi SMS.

L'ultimo era per suo marito Michele.

"Non ce la faccio più, dobbiamo parlare Michele. Adesso. Arrivo".

Scritto pochi minuti prima di morire.

E quel "adesso" era la risposta al dubbio del dirigente della Questura, pensò allora l'ispettore Grimaudo: perché ucciderla in pieno centro e nel mezzo della giornata, assumendosi il rischio di essere intercettati da una volante in servizio quando avrebbero potuto scegliere un luogo molto più tranquillo?

Perché Camilla non avrebbe più atteso. Lo aveva scritto. Ma a cosa si riferiva?

Non vi era altro da fare che andare dal destinatario di quel messaggio.

Riprese l'appunto che aveva trascritto. Rilesse il nome della compagnia di assicurazione dove lavorava Michele Bombati. Non lo aveva mai sentito prima, ma presto avrebbe colmato la sua mancanza.

A pelo d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora