L'ispettore Grimaudo sembrava esausta da quelle spiegazioni che sconfinavano fuori dal proprio campo di competenza, verificò nei miei occhi se avessi assimilato tutte quelle informazioni.
Iniziai a pensare alle persone.
La prima di esse era stata quella ragazza, Jaspreet, che aveva chiamato i soccorsi. Di lei avrei dovuto dare spiegazioni all'ispettore Grimaudo che attendeva pazientemente, ma ancora non ero certo di poterlo fare.
La seconda persona era il medico coraggioso: aveva indirizzato l'autista del mezzo di soccorso verso la struttura più idonea per un intervento al cuore d'urgenza anziché verso il Pronto Soccorso più vicino. Perché prendersi un rischio così grande? Per me? Non mi conosceva affatto. Oppure invece era un collega e mi aveva riconosciuto? In quel momento sperai di incontrarlo e, soprattutto, volli catalogarlo come un coraggioso seriale. Perché seriale? Perché, se quel gesto fosse stato soltanto casuale o istintivamente dettato per salvare la mia sola vita, allora avrei dovuto ipotizzare di essere stato molto vicino a quello che io ritengo non sussistere e che le persone in generale definiscono come: "non era stata quella la mia ora!". Ed io, come medico, alla questione di quella famosa "ora", altrimenti detto "destino", non avevo mai creduto.
Dovevo aver pensato tutte quelle considerazioni estraniandomi per alcuni minuti, come spesso mi accadde, anche davanti a sconosciuti. Non è un fatto edificante, anzi, decisamente imbarazzante. La Grimaudo si era limitata ad osservarmi senza parlare.
Io, cercando di scacciare l'imbarazzo come se fosse una mosca, ripresi il discorso più o meno da dove l'aveva lasciato lei. Non mi resi conto di quanto sarei stato eccessivamente saccente.
"Mi ha appena detto di essere stato vittima di un avvelenamento e quindi, deduco, di un tentato omicidio. Credo che possa essere andata molto diversamente. Sono molte, infatti, le cause di un possibile infarto. L'età compresa tra i 45 e i 55 anni è quella con più alta probabilità secondo le statistiche; più per l'uomo che per le donne, dato che posso certificarle personalmente come medico chirurgo. E poi il fumo, il diabete, l'ipertensione arteriosa, i livelli elevati di colesterolo e di trigliceridi, la famigliarità, lo stress, l'obesità, l'uso di droghe".
Lei mi guardò e sorrise, e soprattutto replicò.
"E il destino".
Rimasi in silenzio, contrariato. Non per l'accenno al destino, sebbene odiassi quel modo di pensare, ma per le mie stesse parole che di fatto confermavano la tesi dell'ispettore Grimaudo. Infatti, ripercorrendo la lunga lista dei fattori di rischio che avevo appena esposto era facile, anzi facilissimo, constatare che le probabilità di avere un infarto fossero per me molto basse: ero un uomo sì, ma non avevo ancora quarantacinque anni. Non fumavo, non avevo alcun segnale di diabete, né ipertensione. Nessun famigliare prima di me era stato colpito da un infarto. Non ero obeso, e non mi drogavo.
In altre parole non ci sarebbe stato alcun motivo per giustificare quanto mi era accaduto salvo a difetti al cuore alla nascita mai diagnosticati prima. Che appunto escludevo.
"Dunque, perché?".
Dovetti ammettere ad alta voce.
La Grimaudo sembrò un falco in attesa della preda. Fluttuante nell'aria, mentre io ero arrivato proprio nel punto in cui mi attendeva.
Così si butto giù in picchiata e le sue parole sembrarono artigli.
"Nel suo corpo aveva dell'antinfiammatorio in una macro dose, questo hanno spiegato i medici".
"Impossibile, non ne prendo, conosco i rischi degli antiinfiammatori".
"Non ne dubito, per questo che abbiamo pensato ad un avvelenamento. Anche se non posso escludere che lei l'abbia ingerito volontariamente. Sono qui appunto per chiederle se l'avesse fatto. Lo ha fatto?".
Ecco lo spazio in cui mi stava attendendo. Doveva sembrarle una zona comoda in cui cogliere la preda, una spiegazione che avrebbe semplificato tutto: un tentato suicidio.
Ma io dissi un sommesso "no".
Non avevo assunto alcun antiinfiammatorio, né altro medicinale, né integratore, né bevanda, né qualsiasi altro intruglio destinato a cambiarmi la vita!
Dunque ero stato realmente avvelenato?!
Fui io, allora, in quel momento a stupire l'ispettore Grimaudo, scuotendomi e liberandomi dai suoi artigli.
"Passiamo alle persone".
"Alle persone?".
"Alla ragazza".
Lei mi guardò interdetta: ero riuscito a girare le domande a lei. Non obiettò e rispose.
"Abbiamo controllato, dice la verità. Cioè è quella che dice di essere. Abbiamo contattato la società per cui lavora. Non è stato semplice, è un'organizzazione decisamente gelosa della sua privacy ed esclusività. Per farlo, infatti, abbiamo dovuto far intervenire l'Interpol con una richiesta internazionale".
"L'Interpol?", replicai incredulo.
"La società non è italiana, e neppure la donna".
"Ma è stata lei ad avvelenarmi?", chiesi ma stavo entrando in argomenti che non ero in grado di gestire.
"Anche se la donna risulta alquanto misteriosa e la sua attività direi non comune, come le ho detto, è quella che dice di essere".
"Cosa intende dire?".
"Che i documenti sono veri, il passaporto è autentico, la società per la quale lavora ha confermato ed ha spiegato anche il motivo per cui la donna si trovasse qui a Torino. Hanno assicurato opere esposte ai Musei Reali".
Quelle informazioni le conoscevo già, ora l'ispettore Grimaudo le aveva appena confermate.
"Ha ragione", dissi, "Perché mai quella donna avrebbe dovuto avvelenarmi e poi chiamare il 118?".
"Vorrei me lo dicesse lei", rispose.
"Io? Ma la Polizia siete voi!".
"È stata interrogata, ha risposto alle domande, ha descritto come l'ha soccorsa, ha detto di non aver tentato di rianimarla ma che è rimasta vicino a lei fino all'arrivo dei soccorsi. Soltanto dopo si è allontanata, poi la sua coscienza l'ha spinta a venirla a trovare qui in ospedale. Per sincerarsi delle sue condizioni. Questo è quanto ci ha detto." spiegò con tono professionale l'ispettore Grimaudo.
E siccome, mi sembrava esplicito che volesse altro da me, ma non comprendevo cos'altro, le chiesi appunto di continuare.
"Sua moglie?".
"Mia moglie?".
"In che rapporti è con sua moglie?".
Stavo per rispondere, poi mi fu chiaro lo scopo della domanda: "Pensa possa essere stata lei?", dissi seccato.
Lei non diede importanza al mio atteggiamento, era abituata a qualsiasi tipo di reazione delle persone che interrogava.
Io mi chiusi completamente, non mi andava più di parlare. Le dissi di non sentirmi bene.
Lei chiese se avessi bisogno di aiuto e mi parve sinceramente preoccupata.
Risposi di sì, e feci bene, benissimo: dopo quanto avevo appena ascoltato mi serviva un sedativo. Un altro infarto sarebbe stato troppo anche per i miei quarantadue anni, fisico asciutto, palestra regolare, esami del sangue perfetti eseguiti ogni tre mesi, non fumatore, completamente astemio, mai usato droghe, neppure quelle leggere (perché non ne esistono), per nulla stressato, senza alcun parente con problemi di cuore, neppure di secondo grado, e senza mai assumere antinfiammatori perché non fanno bene.
Ed allora perché avevo avuto un infarto???
Misi tre punti interrogativi nella mia mente.
Poi risposi a me stesso: perché ero stato avvelenato!
Questo è quanto mi avevano detto e, sinceramente, tendevo in quel momento a crederci.
Avrei voluto capire meglio la mia situazione, mi sentii senza forze, poco dopo mi addormentai.
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A pelo d'acqua
Mystery / Thriller@ pubblicato cartaceo da Edizioni della Goccia: Andrea è un medico. Vive a Torino, la sua è una vita solo apparentemente normale. Ha una sola passione: l'arte. Ed è proprio questa che lo porta ad imbattersi in una storia che cambierà la sua vita r...