Jaspreet digitò un codice numerico su una tastiera illuminata da led di colore blu. Quella che mi era sembrata una piccola cripta, si aprì in uno spazio molto più ampio illuminandosi a giorno.
Non era una cantina, né una cripta, né tantomeno quel luogo aveva a che fare con la religione.
Era un museo.
Alle pareti del grande ambiente che era davanti a me, lungo tutto il perimetro della costruzione, erano appesi un numero incredibile di quadri.
Stupefatto, rimasi senza parole per un tempo imprecisato.
Jaspreet, vedendomi bloccato all'ingresso della sala, perché realmente incapace a comprendere cosa avessi davanti a me, mi incoraggiò ad entrare.
"Vieni".
Non lo disse in italiano. Lo disse in spagnolo e l'invito espresso in quella lingua mi sembrò più intimo, più personale. Quella era casa sua, Barcellona, come mi aveva spiegato, ma anche in quel momento non sapevo se crederle o meno.
"Dove ci troviamo? Cos'è questo?", le risposi muovendo lentamente le mani da destra a sinistra e da sinistra a destra per mostrarle tutti quei quadri che lei, certamente, conosceva ma che a me sembrava incredibile il solo pensiero che fossero lì appesi, davanti a noi, in bella mostra come se fossimo, appunto, in un museo bellissimo.
"Prima ti ho chiesto di valutare il valore di questa chiesa non in denaro ma scegliendo un quadro".
"Dunque?", le risposi.
"Eccoli, i quadri. Tutti, tranne appunto uno, quello con cui ho pagato i proprietari di questo edificio".
"Non ti credo, mi dispiace".
"Penso che invece dovresti. Avvicinati ai quadri e capirai".
Con la cautela di un ladro, mi avvicinai alla parete a destra.
L'illuminazione era perfetta, proprio come in un ambiente museale di alto livello. Il pavimento era ruvido, in pietra, pieno di insenature nere dove l'umidità si era infiltrata per anni, forse per secoli.
Mi spostai verso il primo quadro, quello più vicino a me. Rimasi incredulo mentre lo guardavo, e tale era mia intenzione: non volevo sapere, era quella la sensazione che provavo in quel momento.
Poi mi convinsi. Osservai il quadro, che non conoscevo. Lo guardai bene, mi soffermai su alcuni dettagli, sui colori, sulla scena. E in un attimo compresi chi avessi difronte (per me, stare davanti ad un quadro, ha significato essere al cospetto del suo autore. Perché consideravo tutte le opere come uno specchio dell'anima dell'autore stesso, della sua creatività, del suo sentire, del suo essere artista).
"Non è possibile".
Jaspreet mi guardò sorridendo.
"Non potevo più tenere un segreto così grande solo per me. Era diventato troppo. Non ero ancora pronta a condividerlo con qualcuno né avrei dovuto farlo, poi ho incontrato te".
"Non è possibile...", ripetei perché avevo riconosciuto il quadro ed anche quello successivo e quello ancora dopo.
"Poi ho incontrato te", ripeté Jaspreet.
"Cosa vuoi dire?".
"Il mio lavoro è particolare, pochi possono immaginare che ne esista uno come il mio. Ti ho incontrato grazie a quello. Prima ti ho visto nei nostri database, ma eri solo un nome. Poi ti ho osservato nelle fotografie e sei diventato un volto. Abbiamo moltissimo materiale sui visitatori seriali dei musei. E dei ladri, ovviamente. Ma tu eri particolare. La tua serialità era mirata ad una serie di opere ben precise. Ti ho osservato e studiato. E credo di aver capito i tuoi gusti. I ritratti sono la tua prima passione, i colori che preferisci, alcune scene, alcuni simboli. Ti ho studiato, ti ho capito".
Io la guardai ancora più incredulo di prima. Se quelle parole avrebbero dovuto chiarire il perché mi trovassi con lei in quel luogo, erano invece servite per spaventarmi e a confondermi ulteriormente. Sentire parlare di me da una perfetta sconosciuta, mi parve ancora più misterioso di quei quadri che avevo a pochi centimetri da me.
"Sono dei falsi, chiaramente", le dissi.
Lei non rispose, e continuò invece a parlare di me.
"A Vienna, l'ultima volta che ci sei stato, c'ero anche io. Intendo dire che anche io ero nel museo. Stavo proprio dietro di te, ci siamo anche parlati, ma tu non lo ricordi. Ormai avevo convinto i miei capi che valesse la pensa conoscerti meglio. Che forse anche tu eri un possibile ladro, o un basista. Loro conoscevano le mie piccole pazzie, le mie convinzioni e mi aveva detto di fare come credevo, in altre parole, di seguirti. E così ho fatto. Ho provato anche ad avvicinarti fuori dal museo, ma non trovai il modo giusto. Ti ho seguito fino al tuo hotel e poi ho lasciato perdere".
"I tuoi capi?".
"Quelli per cui lavoro".
"Ripetimi qual è il tuo lavoro", e la mia richiesta mi sembrò oltremodo appropriata in quel momento, sebbene lo sapessi già.
"Te l'ho detto, ed è vero: mi occupo di recupero di grandi opere d'arte".
Io ascoltai quelle parole ricordandomi che erano identiche a quelle che la Grimaudo aveva utilizzato per confermarmi l'identità di quella che era già Jaspreet, ma che nel momento in cui me ne parlava l'ispettore Grimaudo, a Torino, in ospedale, Jaspreet era poco più di un'ombra, poco più di un'immagine, di un ricordo sfuocato di una pessima giornata in cui mi era accaduta una cosa sgradevole.
Provai a spostare allora il fuoco della conversazione su quello che mi parve più concreto, non fosse altro perché era proprio di fronte a me.
"Questo non è Matisse", indicai il primo quadro, "e neppure questo", indicando il secondo quadro.
Lei sorrise.
Mi prese la mano destra, l'avvicinò alla sua guancia, la baciò delicatamente. Poi, come se non l'avesse fatto, come se il nostro fosse un rapporto consolidato nel tempo e quel bacio una consuetudine a cui non dare alcuna connotazione particolare, sposto la mia mano verso la tela.
"Ti sbagli, è proprio Matisse. La Donna con il cappello. 1905", disse con una naturalezza di un addetto ai lavori che spiega ad un pubblico ristretto un'opera d'arte.
"Mi prendi in giro. So che è esposto a San Francisco. Adesso potrebbe essere anche dovunque, ma non qui".
"A meno che non sia stato rubato. E a meno che noi non l'abbiamo ritrovato e messo qui, insieme ad altri".
"Noi?".
"Noi: quelli che lavorano come me".
"E perché dovrebbero essere qui?".
Lei non mi rispose, ma io capii che i segreti che aveva da raccontare erano ancora molti e che quello che stavo vedendo era la cima di quell'iceberg che era in lei.

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A pelo d'acqua
Mystery / Thriller@ pubblicato cartaceo da Edizioni della Goccia: Andrea è un medico. Vive a Torino, la sua è una vita solo apparentemente normale. Ha una sola passione: l'arte. Ed è proprio questa che lo porta ad imbattersi in una storia che cambierà la sua vita r...