Ventiquattro

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Non ero il solo a seguire l'istinto alla ricerca della verità. A Torino, l'ispettore Grimaudo, pur con domande diverse, si arrovellava sulle conseguenze di quanto avrebbe fatto. La città che la donna osservava dalle finestre di casa, non era meno simbolica e misteriosa di Barcellona.

Nicole Grimaudo viveva poco oltre la zona della Gran Madre, la grande chiesa che guarda il Po da una posizione di privilegio e nascosta.

La strada è quella che sale verso la Villa della Regina e la costeggia superandola a destra, inerpicandosi in un bosco. Zona di case esclusive, diamanti incastonati nel fitto del verde. Se non è per ricchezza personale, possedere quelle case è questione per pochi, chi ha una storia alle spalle, quando quelle case non erano altro che abitazioni nel bosco, e che con caparbietà ha saputo trattenere quella fortuna senza mai monetizzarla.

Nicole Grimaudo era una di queste ultime persone.

Discendente unica di una famiglia che aveva costruito la sua dote sin dall'ottocento come cortigiani e servitori dei Re e che avevano ottenuto in cambio la residenza in cui ora viveva appunto Nicole.

Una piccola casa, ma con una vista impareggiabile.

Per quella, e non solo, Nicole riceveva continue proposte d'acquisto, offerte che declinava sistematicamente, sebbene certa che presto o tardi avrebbe dovuto soccombere a tanta pressione.

Laureata in legge a Roma, poi ispettore di Polizia e promettente futuro Vicequestore, viveva da sola e senza alcun rimpianto di condividere la sua vita in una relazione stabile.

La sua indole indipendente prima, ed il suo lavoro subito dopo, segnavano un confine netto, seppur invisibile, tra il desiderio impalpabile di innamorarsi e la sua reale disponibilità a sottrarre spazio a se stessa.

E nel bilancio a favore della seconda scelta, vi era un insieme delle cose, anch'esse totalmente separate dalle persone che la circondavano.

A Nicole piaceva scomparire, solitaria nelle camminate nel bosco fitto della collina, per le vette alpine raggiunte in solitaria con la paura di non farcela, nei viaggi nei luoghi del mondo più isolati, nell'immersione totale nelle genti che incontrava. Cose, ed emozioni, che mai aveva pensato di condividere con qualcun altro. Forse anche per questo aveva scelto di fare il poliziotto.

Quella mattina, Nicole era assorta nei pensieri di quel bilancio sentimentale.

Una ruga lunga tutto il viso, si disegnò mesta ed impertinente.

Nicole sbuffò come la teiera che era sul fuoco, perché se c'era una cosa che non sopportava era l'indecisione.

Si mosse per seguire il rumore che proveniva dalla cucina, ma prima guardò il panorama offerto dalla città e dalle montagne stagliate sul fondo di quella che sembrava una cartolina perfetta.

Poi distolse lo sguardo e si decise di far tacere la teiera. Tornò alla stessa finestra poco dopo, fatta di profili stretti, con una tazza di the bollente nelle mani.

Si vedeva che stesse soppesando i suoi pensieri uno ad uno. Il suo viso era disteso, ma i dubbi ingolfavano la meditazione.

Portò la tazza caldissima a sé, fino a sfiorare il viso.

L'indecisione era dettata dalla telefonata che le avevo fatto qualche ora prima da Barcellona.

Non a torto, mi aveva giudicato un eccentrico sfasato in cerca di guai.

Aveva però anche intuito qualcosa di più.

Dopo la mia telefonata, infatti, il suo primo impulso era stato quello di richiedere una trasferta per servizio, ma il suo capo diretto, non aveva voluto sentire ragioni: la richiesta di recarsi a Barcellona per cercare un concittadino che si rifiutava di collaborare nonostante essere stato avvelenato ("e prove definitive non ve ne erano", sottolineò al telefono trovandomi pienamente d'accordo se soltanto avessi potuto ascoltare quella conversazione), e che la contattava dopo aver espatriato e senza fornire un indirizzo, né numero di telefono, "nulla appunto", urlo e si capiva che non fosse in discussione la sua decisione, "E no! Lei non ci va punto e basta", obiettò conclusivo il dirigente di Polizia scocciato per l'insistenza.

"Certamente", aveva risposto la Grimaudo non senza celare il dispiacere che rimarcava il distacco tra le decisioni del superiore e le sue aspettative.

"Certamente", aveva anche ripetuto al telefono, ringraziando per non aver scelto la carriera militare ed avere invece optato per quella civile, perché altrimenti, in una circostanza del genere, avrebbe anche dovuto ingoiare un "Comandi!", espressione ben più greve e difficile da far passare inosservata al proprio ego.

Comunque aveva accettato l'ordine.

Ed allora perché, posata sbadatamente la tazza di thè sul tavolino in marmo sotto la finestra, e dato un ultimo sguardo alla città ed al fiume, Nicole stringeva tra le mani un biglietto di andata e ritorno da Caselle a Barcellona?

Era ostinata e cocciuta, ecco il perché.

La tazza rimase in bilico sul bordo del marmo, Nicole se ne accorse appena in tempo e prendendola, prima che cadesse, prese la sua decisione.

Si vestì, non pensò oltre a quanto avesse già fatto e scese in garage. Salì sull'auto di sua proprietà, un SUV, color crema metallizzato. Mise in moto, uscì dal cancello e lasciò a questo il tempo di richiudersi alle sue spalle.

Un attimo dopo fu al telefono con la Questura chiedendo dell'ufficio del personale e mettendosi in ferie per ragioni strettamente personali.

Le procedure lo consentivano, non senza le spiegazioni che avrebbe dovuto dare poi (cosa che fece, al telefono, pochi minuti dopo, tra il dubbio del Vicequestore e le bugie per negare l'evidenza: "Lei ha deciso di andarci ugualmente in Spagna", disse senza attendersi un no e con l'intento di impedirle quel viaggio.

"Affatto, si sbaglia" mentì pensando di essere convincente la Grimaudo.

"Va in Spagna, le dico".

"Assolutamente no, vado a Roma invece. Dal mio amico, quello che gioca nella Lazio, gliene ho parlato tempo fa, ricorda?".

"Si certo, nella Lazio", disse sarcastico il Vicequestore pur sapendo che fosse vera l'amicizia tra la sua subalterna ed un famoso giocatore di calcio.

Le cose erano andate più o meno così.

La Grimaudo non andava affatto a Roma, questo lo immaginate già, ma il giocatore della Lazio esisteva davvero, un bel ragazzo che aveva vissuto a Torino proprio vicino alla sua casa quando era in forza nella Juventus. Un certo Federico, che tutti descrivevano come forte, fortissimo in campo e che amava i cani, un sentimento pari e forse superiore a quello che riservava alle persone.

Terminata la difficile conversazione al telefono con il suo superiore, Nicole Grimaudo puntò il navigatore sull'indirizzo di casa mia, in Via Verdi a Torino.

Aveva già avvisato mia moglie della visita, specificando di non preoccuparsi, che si trattava soltanto di una normale routine di controllo.

Quindici minuti dopo, arrivò appunto nei pressi della mia abitazione. Espose sul cruscotto i segnali di riconoscimento della Polizia e posteggiò l'auto poco lontano dal portone.

A pelo d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora