I giorni seguenti passarono veloci. Dopo una settimana in cui non era praticamente successo nulla, accaddero una serie di eventi di cui non ebbi mai il controllo. Impensabile solo a pensarci.
Ero stato dimesso dall'ospedale di Barcellona con la raccomandazione di fare un controllo appena rientrato a Torino.
Lo scambio di opinioni sul mio quadro clinico con il professore del reparto fu interessante: il medico descrisse il mio stato generale come non grave e si disse stupito del secondo infarto che mi aveva colpito, eppure non c'erano dubbi sul fatto che ne avessi avuto un altro. Forse era a causa dello stato di stress a cui, imprudentemente, mi ero sottoposto nell'intraprendere un viaggio subito dopo il primo evento. Convenni con lui, sospettando però di essere stato nuovamente avvelenato. Fatto che peraltro non venne mai comprovato.
Ma non fu questo il punto di maggior interesse della settimana, né quello ad essere determinate, tutt'altro: dimenticai ben presto il mio sospetto.
Fu altro, vi ho detto.
Sebbene fossi informato della morte di mia cognata, non ero pronto alle conseguenze.
La prima: mia moglie si materializzò all'uscita dell'ospedale. Mi aveva fatto avvisare della sua presenza, ma non era salita in camera. Mi innervosì immediatamente alla sola notizia, non ero pronto ad incontrarla seppur ancora lontanamente fossi consapevole della reale portata delle notizie che recava con sé.
Quando mi vide, quello che si precipitò a specificare fu il fatto che mio figlio fosse a Torino con i miei genitori, informazione che mi parve immediatamente strana: mio figlio non si sarebbe mai sognato di trasferirsi da loro, neppure per pochi giorni.
Poi, Irene mi informò di ogni dettaglio della morte di mia cognata: non era ancora chiaro chi fossero gli esecutori e che mio cognato, Michele, era scomparso da quel giorno senza lasciare tracce.
"Michele?", le chiesi e immediatamente pensai che l'ispettore Grimaudo non mi avesse volutamente informato.
"Sì, mio fratello è scomparso. L'ho chiamato diverse volte, ma il suo telefono è sempre staccato".
In quel contesto, la Polizia operava ma senza venire a capo di nulla. E poi c'era quella poliziotta, disse proprio così "quella", che continuava a convocarla in Questura e a riempirla di domande.
"Quella", ripeté, indicandola poco più distante da noi, ma io non l'avevo notata.
Non era sola.
Attorno a lei c'erano i poliziotti spagnoli che avevo già conosciuto ed un collega che catalogai, non sbagliandomi, come italiano.
"Buongiorno", disse con tono gentile, avvicinandosi, "lui è il vice ispettore Mancini, vi siete già incontrati in ospedale a Torino".
Il poliziotto non sorrise, non allungò la mano per presentarsi, non fece nulla per risultare simpatico.
Io cercai di ignorarlo, e con lo sguardo feci la domanda più ovvia: "Che ci fate ancora qui?".
"La scortiamo fino a Torino".
"Perché dovreste?".
Fu Irene a rispondere, e la sua voce non sembrò essere quella che ricordavo, c'era almeno un grado di alterazione nel suo tono, una nuova voce, più roca, più appassita, più vecchia, più arrendevole: "Siamo in pericolo, Andrea".
La guardai senza capire: "Siamo in pericolo?".
"La morte di sua cognata e la scomparsa di suo marito ci lasciano pensare che tutta la famiglia possa essere in pericolo. Non credo sia complicato accettarlo, visto quanto le sta accadendo, signor Bonelli", anche la voce dell'ispettore Grimaudo sembrava diversa, più legata alla professione, più distaccata, nemica.
Guardai Irene: il suo viso di Irene era l'espressione della frustrazione.
Le ore che aveva passato in Questura a dire di "no", "che non conosceva nulla di compromettente sulla vita di suo fratello, e di sua cognata, semmai...", e che "...no, mai, non aveva avuto neppure il lontano sospetto che potessero essere in pericolo...", e "...che mai avevano ricevuto minacce", "no, non era al corrente del patrimonio esatto di suo fratello e che non pensava di essere tenuta ad esserlo", ed infine, e quella era certamente la ragione del sospetto malcelato della Polizia, "che, no, non era al corrente che esistesse una polizza assicurativa sulla vita che indicava in lei l'unica erede di quell'intero patrimonio. E che in fondo era pure normale che lo fosse, visto che i genitori erano morti e che la maggior parte delle proprietà di suo fratello erano a suo volta state ereditate dopo la loro morte".
E poi, esausta, alla domanda se non le sembrasse anomalo che anche sua cognata avesse eletto lei come erede, e su questo punto la Polizia aveva insistito, aveva infine risposto: "Non saprei, e non lo sapremo mai da lei, visto che ora è morta", liquidando, o pensando di aver liquidato, l'intera faccenda con una risposta che non dava nessuna spiegazione né chiarimento e che non faceva altro che far ricadere definitivamente su mia moglie il sospetto della morte di nostra cognata e della scomparsa di Michele.
Ed il sottointeso fu chiaro a tutti: forse era morto anche Michele...e forse avrebbero presto trovato il cadavere.
Irene era esausta.
Distrutta.
Ma la luce che vedevo in lei, non era quella che mi sarei aspettato: c'era della preoccupazione, non soltanto il dolore.
Lo constatai nei lineamenti del viso, nelle pieghe della bocca e nei fasci di nervi che sembravano strangolarla.
Irene, incurante dei passanti e davanti ai poliziotti che avevano ascoltato soddisfatti il resoconto, terminò il resoconto dettagliato di tutte le domande a cui aveva risposto in Questura in quei giorni come se ne leggesse il verbale.
Vidi la sua frustrazione affiorare sulle labbra.
Ma vidi anche che mentiva.

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A pelo d'acqua
Mystery / Thriller@ pubblicato cartaceo da Edizioni della Goccia: Andrea è un medico. Vive a Torino, la sua è una vita solo apparentemente normale. Ha una sola passione: l'arte. Ed è proprio questa che lo porta ad imbattersi in una storia che cambierà la sua vita r...