Diciannove

676 33 3
                                        

A passi svelti e attento a non farmi travolgere dai veicoli che stavano per riprendere la marcia, raggiunsi il marciapiede. Mi guardai intorno. Constatai di essere giunto al numero 400 della Avinguda Diagonal. Alla mia destra e alla mia sinistra c'erano palazzi alti. Istintivamente contai i piani per due volte e mi resi conto che da quando avevo lasciato l'ospedale, con poche certezze nella mia mente, e moltissimi dubbi, soltanto i numeri riuscivano a trasmettermi una certa serenità. In realtà, quel mio "contare" era dettato da un'altra ragione: erano spariti i nodi alle cravatte, legati ai cambi di scena, erano apparsi i numeri legati alle cose.

I piani delle case, il numero dei voli, quelli dei posti a sedere, gli orari, i numeri di telefoni, le targhe delle auto.

Ogni cosa mi portava forzatamente a ragionare sui numeri.

Dovetti massaggiarmi la faccia per riuscire a focalizzarmi nuovamente sulla mia missione e sul perché fossi a Barcellona.

Conoscevo molto bene la città, così come la linea della Diagonal mi era familiare: a sud di essa, il mare e le spiagge indicavano la porzione più gustosa e più conosciuta della città, quella a nord, la parte alta della città, riservavano al turista un sapore più intimo, più segreto e più interessante.

Proseguii verso la direzione dell'appuntamento.

In poco, arrivai ad una piazza. Involontariamente ricontrollai l'orologio, aumentai l'andatura senza averne necessità. Sapevo di essere vicino alla Sagrada Familia, ma l'ansia di arrivare era più forte della razionalità.

"Attento", mi dissi ad alta voce e per poco un passante si voltò a guardarmi, "non pensare alle conseguenze di ciò che stai facendo". Pronunciai le ultime parole soltanto mentalmente ignorando il suo sguardo.

Poi, per contenere la sensazione di inadeguatezza che stavo provando, cercai un luogo dove mangiare e consumare con il pasto una parte dell'attesa.

Le due del pomeriggio.

L'insegna di una farmacia a ricordarlo.

A lato un negozio di souvenir. Vi entrai ed acquistai una mappa della città.

"Soltanto questo?", mi chiese la commessa in italiano nonostante mi fossi rivolto a lei in inglese, "Soltanto questo", risposi pagando e salutando.

Avevo ben chiara la città di Barcellona e quella zona la conoscevo, ma la pianta della città mi diede una maggiore sicurezza. Uscito dal negozio, guardai a destra e a sinistra senza notare nessuno in particolare. Decisi di allontanarmi e di procedere in direzione della zona di Barcelloneta. Sulla strada avrei trovato un locale dove mangiare, e sarei arrivato all'appuntamento in tempo. Sarebbe stato inutile arrivare prima. Ed ecco quest'ultima parola, "prima", che ricordava un pezzo mancante della storia.

Così, mentre camminavo, domande, dubbi ed ancora domande, rombavano fragorosamente e tutte a chiedere spiegazioni.

Cosa avevo fatto quel giorno prima dell'infarto?

Poteva realmente essere stato determinate?

E tutta un'altra lunga serie che affioravano pericolosamente in superficie e mi impedivano di concentrarmi sull'agire. Lo stato di agitazione erano onde del Pacifico: maestose, indomabili. Mi concentrai allora sui passi, sui negozi, contavo gli alberi, i lampioni, le persone, i cani. Scoprivo un mondo pieno di numeri. Fu a quel punto che mi bloccai improvvisamente. Ebbi una vertigine. Mi sforzai a controllare il respiro. Un getto di lava incandescente risalì dallo stomaco. Il dolore fisico lancinante. Un magma bollente anziché fuoriuscire dalla bocca, aveva preso un'altra strada, invadendo la mia mente ed illuminandola a giorno e, seppure soffrendo per quel calore e quella luce, capii improvvisamente quanto fosse accaduto "prima" dell'infarto.

"Prima".

Proprio come mi aveva detto l'ispettore Grimaudo, ed io ora sapevo cosa fosse stato quel "prima".

"Vuole dello zucchero?".

"Sì, grazie".

"Prenda questa, prego".

A pelo d'acquaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora